Andiamo a mangiare una cosa al volo? A quanto pare l’epoca del take away ha ormai rimpiazzato l’era in cui si ritornava a casa per un pranzo in famiglia, di fronte ad un piatto di pasta asciutta fumante. Ma se moderno vuol dire veloce, ciò non significa che il nostro Paese, che sul cibo ha costruito parte della sua identità, abbia del tutto issato bandiera bianca al mondo del fast food. Dal pane e panelle al bretzel, ogni regione d’Italia da sempre vanta il suo modo di intendere il concetto di cibo di strada, di gran lunga più gustoso (e sostenibile) delle proposte culinarie dei soliti noti che dominano i fast food nel mondo.
In Sicilia, in particolare a Palermo, questo semplice e prelibato ‘pasto al volo’ , è possibile trovarlo in maniera estremamente semplice, in ogni angolo di strada, presso le friggitorie dei cosiddetti panellari. C’è da considerare che quelli da noi chiamati semplicemente “panellari”, sono i veri precursori dei moderni fast food; soltanto che, a mio avviso, un panino con la salsiccia non è assolutamente paragonabile né col “pane e panelle”, né tanto meno con le bontà che una friggitoria Siciliana è capace di offrire piccoli pesci, melanzane, carciofi, broccoletti e chi più ne ha più ne metta!.
Le panelle sono delle frittelle realizzate con farina di ceci, rappresentano un formidabile pasto completo e, soprattutto, economico. Nonostante continui ad essere un pasto molto attuale nelle vie del centro storico palermitano, ma anche in altre parti della Sicilia, l’origine del pane e panelle è molto antica. E’ un piatto che risale ai tempi della dominazione Araba in Sicilia.
Il lavoro del panellaro cominciava il mattino presto, e tal volta nel pomeriggio precedente. Cuoceva la farina di ceci come la polenta, un continuo rimestare con un paiolo da zattera, nel suo antro buio davanti alla pentola fumante, magari su un fuoco a legna; poi metteva a raffreddare l’impasto coperto mediante uno strofinaccio (mappina) e solo quando diventava maneggiabile, per il calore non eccessivo, cominciava a lavorare le panelle. Ma non bisognava perdere il momento propizio, perché se si aspettava troppo, l’impasto induriva e diventava buono tutto al più per una mesta produzione di rascature (è la rimanenza della farina di ceci cotta indurita, non più spalmabile).
I panellari più conosciuti e amati dai palermitani usavano delle formelle di legno levigato di forma rettangolare con incisi in rilievo ameni motivi floreali. Sulle formelle veniva spalmato l’impasto che, indurito, dava luogo alla panella cruda. Il motivo floreale non era un semplice amore per l’arte, bensì un segno di riconoscimento perchè il disegno si riconosce solo sulla panella fritta da poco, successivamente si perde.
Le panelle si chiamavano ‘piscipanelli’, e furono il surrogato di una irraggiungibile frittura di pesce troppo cara per le tasche dei nostri avi, si vendevano dai primi di dicembre fino a Natale con il picco più alto per Santa Lucia, naturalmente. Poi finirono col diventare colazione o cena, spesso l’unico pasto quotidiano dei poveracci.
Chi ama la Sicilia non può essersi sottratto all’assaggio di queste delizie ,tanto gustose anche per i più piccini. Di facile realizzazione e richiedono l’uso di pochissimi ingredienti.