Questa storia delle mode dettate dalla tecnologia, quest’esasperante ossessione che rivendica di dover essere sempre al passo con i tempi, imponendo l’uso/abuso degli hashtag, dei selfie, dei like e dei follower, ci sta un po’ sfuggendo di mano. Anzi, diciamolo tutta: ci è decisamente sfuggita di mano.
“Essere sempre sul pezzo”, a prescindere dalla professione che si esercita, è un bisogno compulsivo abbondantemente palesato dalla società contemporanea.
I selfie accanto al relitto della Costa Concordia piuttosto che a ridosso delle auto incendiate dal black block a Milano, durante la cerimonia inaugurale dell’Expo, ne rappresentano la tangibile, sconcertante e triste riprova.
Eppure, tutte le volte che accade, è sempre bene indignarsi e vale puntualmente la pena di sottolineare che “è giusto” inorridire e rabbrividire e non “condividere” o consegnare un “like” a quel macabro incesto, figlio illegittimo di un I-Phone e del cattivo gusto.
Il festival del macabro e del cattivo gusto vanno in scena proprio perché stiamo consentendo alla macchina virtuale di ergersi ad unità di misura della nostra autostima, soggiogando la psiche nel pericoloso vortice della logica impartita dai social network alla vita reale, nella vita reale.
I consensi è importante conquistarli nella vita reale e sarebbe ben più sano ed opportuno guardare ai social come un mezzo di comunicazione, nel senso più grezzo ed essenziale del termine. Cessando, così, di percepirlo ed utilizzarlo come uno strumento o, peggio ancora, come un’arma.
Quanto accaduto ieri in Tunisia ha dell’inverosimile. E non parlo dell’attentato. Non solo dell’attentato.
Uno dei due autori della strage attuata nel resort, ancora armato di kalashnikov ha appena finito di compiere la sua mattanza, quando, sulle strade della città, viene colpito a morte dalle forze di sicurezza tunisine. E cade tramortito al suolo.
Mentre i terroristi, artefici dell’autentico sterminio di civili e turisti sono ancora a piede libero, uno poliziotto tunisino non riesce a resistere al richiamo della “legge del web” e così ha voluto afferrare al volo la sua “grande occasione” scattando con la fotocamera del suo telefono cellulare una foto al corpo esanime del terrorista.
Si, questa storia degli hashtag, dei selfie, dei like e dei follower, ci è decisamente e vergognosamente sfuggita di mano.