Ti trovi in vacanza in un resort, in Tunisia, sei in spiaggia, a goderti la tintarella, magari sei partito a giugno perché non puoi permetterti le vacanze a ferragosto o forse perché quando il destino ha scritto l’epilogo di quest’ennesima, folle giornata sporca di sangue, aveva deciso che proprio tu, oggi, dovevi essere su quella spiaggia. Che, oggi, proprio tu dovevi morire così, su quella spiaggia, mentre eri intento a goderti la quiete scevra dal caos dell’ordinaria routine, inconsapevole che, su quel limbo di terra, in un attimo, la pace si sarebbe tramutata in delirio, orrore, terrore. E morte. Soprattutto, morte.
Due uomini armati di kalashnikov hanno fatto irruzione in due hotel di Hammam-Sousse, l’Imperial Marhaba e del Soviva nella zona turistica di Kentaoui e ha sparato sui turisti.
Secondo il ministero dell’interno ci sarebbero 37 vittime e 36 feriti, tra uno dei killer. Secondo il portavoce del ministero dell’Interno di Tunisi, Mohamed Ali Aroui, ci sarebbero tra i morti diversi turisti inglesi, tedeschi e belgi.
Una tragedia consumatasi a circa 140 chilometri da Tunisi, teatro di un altro attentato il 19 marzo, quando un commando era entrato prima nel parlamento e poi al museo del Bardo.
La dinamica dell’assalto è ancora confusa. Secondo il segretario di Stato Rafik Chelli, uno dei terroristi sarebbe arrivato in spiaggia vestito come un turista e con un kalashnikov nascosto sotto un ombrellone. Alcuni testimoni parlano di un commando di cinque persone arrivato via mare, altri dicono che sono atterrati sulla spiaggia con una mongolfiera.
Il primo attentatore morto era uno studente non conosciuto alle forze dell’ordine, originario di Kairouan, nel centro del Paese, una delle città sante dell’Islam e sede della più antica moschea del Maghreb.
Il secondo presunto terrorista è stato invece arrestato dopo una fuga di qualche ora. Indossava degli short, probabilmente per camuffarsi tra i turisti.
Nello stesso giorno e nella stessa ora, sia la Francia che il Kuwait sono stati bersaglio di un attentato simile.
Una minaccia concreta che assume le spocchiose e sfrontate sembianze di una sfida. Ci tengono sotto scacco, sono pronti a tutto, anche a dare la vita per compiere il disegno di sanguinaria follia, in nome del quale, seguitano ad uccidere e straziare vite umane. Sono tanti, sono armati, dispongono di ingenti quantità di denaro e sono cosparsi in tutto il mondo. Vivono per un’unica regione, intorno alla quale ruota la loro intera esistenza: non giocano a calcio, non fanno shopping, non frequentano palestre e Spa, non fanno la ceretta alle gambe, non prenotano privé di lusso nei locali in voga. Vivono solo ed esclusivamente per rivendicare quell’ideale, nel nome del quale, sanno attuando una delle stragi più cruente della storia dell’umanità.
Stanno combattendo una guerra ad armi decisamente impari, dato che i bersagli della follia omicida dei jihadisti seguitano ad essere, ancora, ancora una volta e sistematicamente, civili.
Persone, uomini, donne, bambini, inconsapevoli, disarmati, incapaci di difendersi e, probabilmente, colti alla sprovvista, sopraffatti da quell’ondata di distruzione vedendosi privare del tempo materiale per comprendere quello che sta accadendo, a cosa stanno andando incontro, per poi vedersi violentemente scippare la vita. Come se ci si potesse preparare alla morte. No, non si è mai “pronti” per morire. Mono che mai lo si può essere al cospetto di chi è “pronto a morire” per uccidere.
Anche stavolta, nelle ore a seguire, conosceremo le storie delle vittime che, oggi, hanno perso la vita su quella spiaggia. Chi erano, dove vivevano, cosa facevano, cosa avrebbero trovato ad attenderli al rientro, una volta che quella vacanza brutalmente volta al definitivo termine, sarebbe finita come loro avevano preventivato che accadesse.
Anche stavolta, commemorazione, appelli, dolore, sconcerto, paura e mille altri sentimenti ed emozioni dominanti si accavalleranno nei discorsi formali delle alte cariche dello Stato, di tutti gli Stati, oltre che sotto forma di post attraverso i social, di utente in utente, di bocca in bocca, di coscienza in coscienza.
Ma quanto sangue ancora dovrà essere versato, per far sì che, questa, non sia “una volta qualunque”, ma l’ultima?