Come già era accaduto a Filomena Morlando, la cui storia abbiamo raccontato qui, anche Attilio Romanò è vittima della crudeltà bendata della camorra.
Ucciso “per sbaglio”, come tanti altri volti, più o meno noti, dello stesso territorio campano. Quello “sbaglio” derivante dalla crudeltà umana, dall’ingiustizia, che si spera porti la verità a galla almeno nell’altro mondo.
Era il 25 gennaio 2005, quando nell’aria si sentirono tre spari e l’urlo “A Secondigliano comandano i Di Lauro”. Attilio Romanò aveva soli ventinove anni e di professione era un commesso in un negozio di telefonini al rione di Masseria Cardone a Capodimonte.
A prendere la parola, per descrivere le vicende per filo e per segno, è stato nel 2012 uno degli omicidi pentiti, in aula, a poche settimane dalla sentenza: Vincenzo Lombardi ha narrato che i fratelli Cosimo e Marco Di Lauro hanno commissionato questo delitto al killer Mario Buono, che però ha commesso un errore nel colpire con la sua pistola un innocente, l’ennesima delle oltre settanta vittime di Scampia tra il 2004 e il 2005. Il pregiudicato da uccidere era invece Rosario Pariante, il cui nipote era socio del negozio in cui Romanò prestava servizio.
Queste le parole dell’autoaccusato, riportate dal Corriere: “Cosimo Di Lauro aveva scritto una lista di vittime da assassinare e suo fratello Marco decise che dovevamo continuare a fare morti anche dopo l’arresto di Cosimo. Quella mattina mi fu detto che c’era da fare un omicidio e quindi, come mi recai nella casa di via Barbiere di Siviglia dove si riunivano i killer, preparammo il delitto. Fu fatto un sopralluogo. Io guidavo il motorino. Eravamo a volto scoperto. Mario Buono scese, attraversò la strada. Io sentii tre colpi e vidi Mario uscire dal negozio”.
Lo “stipendio” del pentito si aggirava come base sui mille euro a settimana.
Per Mario Buono è stato recentemente confermato l’ergastolo, dalla Suprema Corte di Cassazione presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma.