Tra le guglie barocche di Napoli, l’ultima eretta in ordine di tempo, si annovera l’Obelisco di Portosalvo.
Ubicato di fianco alla chiesa cinquecentesca di Santa Maria di Portosalvo ed alla vicina fontana della “Maruzza”, occupa un’area spartitraffico risultanza delle trasformazioni subite dalla via Marina.
È un simbolo della storia di Napoli relegato all’oblio e sacrificato alla storia unitaria.
La guglia era stata innalzata dopo che il Cardinale Fabrizio Ruffo, il 13 giugno 1799, postosi alla testa dell’Esercito della Santa Fede aveva riconquistato il Regno di Napoli, usurpato dalla “Repubblica Partenopea”, restituendolo ai Borbone.
Costruito quindi per commemorare la riconquista del Regno, è un obelisco devozionale che si erge a poche centinaia di metri dal Ponte della Maddalena e da Palazzo Reale quasi a congiungere momenti significativi dell’impresa del Cardinale Ruffo.
In quel periodo Napoli si divideva tra il ceto popolare caro alla casta borbonica, e gli ideali borghesi e progressisti repubblicani.
È in questo scenario che va inquadrato il gesto del generale Championnet che, giunto a Napoli, si recò nella Cappella del Tesoro del Santo minacciando che avrebbe fatto una carneficina se il sangue di San Gennaro non si fosse subito sciolto.
Il miracolo avvenne e il popolo, credendo in uno schieramento del Santo a favore dei francesi repubblicani, tacciò San Gennaro di tradimento.
Probabilmente il Santo, generoso e lungimirante, aveva voluto salvare i suoi fedeli da una sorte atroce, piegandosi alla volontà dell’usurpatore e rischiando anche, come infatti accadde, di essere considerato un traditore.
Il Cardinale Ruffo destituì il Santo campano e lo sostituì con Sant’Antonio da Padova di cui ricorreva la festività nel giorno dell’ingresso a Napoli con l’esercito dei sanfedisti ingrossato dal popolo di Napoli urlante a gran voce “Viva ‘o Rre!”.
L’obelisco celebrativo fu realizzato in piperno, con forma piramidale sormontata da una croce, e vi furono apposti sui quattro lati dei medaglioni di marmo raffiguranti la Madonna di Portosalvo, Sant’Antonio, San Francesco di Paola a cui i Borbone erano devoti e San Gennaro con cui ci si volle così riconciliare. I realisti non ce lo volevano sul monumento e nemmeno il popolo che aveva cominciato a chiedere grazie a Sant’Antonio.
Ma Ferdinando IV pronunciò parole di riconciliazione in vista della ricorrenza del 19 settembre e fece in modo che la città ritornasse fedele al suo Santo cui era dedicato tra le altre cose il più importante corpo morale del Regno delle due Sicilie, l’Ordine di San Gennaro, riservato ai capi delle grandi famiglie del Regno e dei fedeli alla dinastia.
Sicuramente le parole di Fedinando IV servirono a smuovere le coscienze di quanti si erano sentiti traditi dal Santo Patrono di Napoli, ma il vero ritorno alla fede nei suoi confronti, avvenne nel 1804, quando il Vesuvio riprese la sua funesta attività distruttrice.
In quell’occasione, come già successo in passato più volte, serviva un intervento divino esperto e San Antonio, con tutta la buona volontà, non era pratico. Ancora una volta San Gennaro non deluse le aspettative e portato in spalla da tanti figliol prodigi, fermò la lava e la distruzione.
E su questo nessuno ebbe dubbi.
Qualche anno più tardi, l’obelisco divenne il simbolo di una storia da cancellare, quella della monarchia napoletana cacciata prima da Napoleone e poi da Garibaldi, ed è già miracoloso che il monumento, così come le due statue equestri al Plebiscito, sia scampata alla furia iconoclasta dei repubblicani.
Probabilmente si salvò perché simbolo religioso anche se i bassorilievi cominciarono ad essere razziati.
Nel 1998, il Consiglio Comunale di Napoli discusse l’opportunità di un’integrazione culturale che accogliesse la rivalutazione di ogni periodo storico, a prescindere che si trattasse di vinti o vincitori.
Fu proposto che la degradata guglia borbonica e l’area circostante fossero restaurate.
A quella decisione seguì l’avvio dei lavori di restauro nel 2004, poi interrotti senza che l’obelisco e la Chiesa di Santa Maria di Portosalvo uscissero della rovina.
La memoria storica della città è ancora sotterrata mentre, in epoca di celebrazioni dei centocinquant’anni dell’unità d’Italia, i monumenti e le statue dedicati agli “eroi” del Risorgimento hanno ritrovato splendore e visibilità.
A cento metri dall’area di Portosalvo, il monumento equestre di Vittorio Emanuele II è il protagonista di un’apprezzabile riqualificazione urbana che evidenzia un contrasto ideologico deleterio per il decoro della città.
La guglia a tutt’oggi è ingabbiata da una struttura metallica circondata da rifiuti, avanzi di cibo e bottiglie rilasciati dagli extracomunitari che bivaccano ed esercitano l’attività di lavavetri in zona.
La Direzione Centrale Pianificazione e Gestione del Territorio– Sito Unesco Servizio Programma Unesco e Valorizzazione Città Storica, del Comune di Napoli, ha pubblicato un resoconto dettagliato dello stato in cui verte la Guglia e sugli interventi che andrebbero fatti:
Stato di conservazione: pessimo.
Analisi degrado: macchia, patina, patina biologica, incrostazione, alterazione cromatica, pitting, fratturazione, mancanza, deposito superficiale.
Eventuale integrazione e/o sostituzione delle parti mancanti, previa accurata indagine, da concordare con la Sopraintendenza.
Pulitura e consolidamento del basamento in piperno, delle lastre marmoree, dei pinnacoli, degli elementi lapidei aggettanti, integrazione e/o sostituzione del sistema di ancoraggio delle decorazioni.
Protezione finale. Per l’esecuzione di tutte le fasi di lavorazione dovrà realizzarsi un idoneo sistema di ponteggi di tipo autoportante, reso a norma e debitamente calcolato, dotato di idonei sistemi di sicurezza e di uno o più argani e/o paranchi per la movimentazione delle opere.