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Li chiamavano BRIGANTI…….. e invece erano eroi

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
19 Giugno, 2015
in Da Sud a Sud, In evidenza
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briganti“Per quelli come voi la violenza è un diritto, per quelli come noi la violenza è un delitto. Voi potete rubare, violentare, uccidere, e nessuno vi condannerà. E allora cosa resta a noi? Solo la vendetta….. che ci riduce come bestie!  Ma io non voglio vendetta, io voglio giustizia !”.

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Il 1861 è un anno che ogni UOMO al mondo dovrebbe ricordare, non per la pseudo unità di Italia imposta con la forza, ma perché quell’anno i Savoia iniziarono il massacro del Sud.

Il Brigantaggio fu un grande movimento rivoluzionario e di massa, che lottò contro l’invasione piemontese e quelli che furono offensivamente definiti BRIGANTI erano invece partigiani che difendevano la loro patria, la loro terra, la loro gente, il loro Re Borbone e la Chiesa cattolica.

Più di un secolo e mezzo, ben 154 anni, in cui bugie, menzogne e verità nascoste, hanno azionato quel subdolo meccanismo di denigrazione della popolazione meridionale, talmente oliato a dovere da aver coinvolto anche alcune persone abitanti del Sud.

La storia o meglio gli “illustri” storiografi che l’hanno riportata e pubblicata sui libri di scuola, ha sempre raccontato che l’unico colpevole dei problemi del Meridione, è stato il Regno Borbonico e che il mal governo dei Borboni, era supportato dal carattere superficiale e indolente dei suoi sudditi che con la loro filosofia di vita “ bast che ce sta ‘o sol“, pigri e svogliati quali erano, trascorrevano le giornate da nullafacenti in attesa che qualche miracolo gli procurasse di che vivere.

Ma è andata veramente così? A noi risulta ben altro.

La disoccupazione era praticamente nulla nel Regno delle Due Sicilie quando fu annesso al Regno di Sardegna. Sembra impossibile immaginare che il Regno delle Due Sicilie, studiato nelle scuole italiane come luogo naturale dell’oscurantismo, del burocratismo, dell’arretratezza tardo feudale (borbonico sinonimo di lento, fiacco, arretrato), sia stato invece premiato, nel 1856, come terzo Paese del mondo, per sviluppo industriale.

Le ferrovie napoletane non erano il “balocco del Re” per raggiungere la sua casa di vacanze, bensì esito di un’oculata politica di marketing e sviluppo industriale. I Borbone non avevano acquistato i locomotori da qualche grande azienda teutonica, come anzi oggi faremmo: le fabbricavano… con un indotto industriale che in pochi anni fornì lavoro per migliaia di giovani meridionali.

Nel meridione si ebbe la prima repubblica socialista del mondo con San Leucio: ottanta ettari di terreno su cui Re Ferdinando fece sorgere la più famosa seteria di tutti i tempi.

Quella che oggi è Terra di Camorra, allora era, davvero, Terra di Lavoro.

Di tutt’altro segno e spessore i dati inerenti il Regno dei Savoia, negli stessi anni. Nel 1860 il debito pubblico del Piemonte ammontava alla somma di oltre un miliardo di lire di allora: una montagna di denaro, una voragine spaventosa che 4 milioni di abitanti non sarebbero riusciti a pagare  in cento anni per l’arretratezza della sua economia montanara.

E allora cosa è successo di così determinante da sovvertire le sorti del Meridione?

Successe che al Piemonte non interessava per niente l’Unità d’Italia. Al Piemonte interessava la conquista delle ricchezze del Sud, delle sue riserve auree, delle sue fabbriche. Dal 1860 al 1870 i nuovi pirati, ossia i piemontesi, riuscirono a depredare tutto quel che c’era da prendere, svuotarono le casse dei comuni, quelle delle banche, quelle dei poveri contadini, quelle delle comunità religiose, dei conventi; saccheggiarono le chiese e le campagne; smontarono i macchinari delle fabbriche per montarli al Nord; rubarono opere d’arte di valore inestimabile, quadri, vassoi, statue. Le miniere di ferro, il laboratorio metallurgico della Mongiana in Calabria; le industrie tessili della Ciociaria; le manifatture di Terra di Lavoro; i cantieri navali sparsi per tutto il Mezzogiorno; la magnifica fabbrica di Pietrarsa, i monti frumentari, le scuole pubbliche e soprattutto la dignità e la libertà furono tolte ai meridionali.

Ecco in realtà cosa successe, ed ecco comparire i Briganti.

Cannoni contro città indifese; baionette conficcate nelle carni di giovani, preti, contadini; donne violentate e sgozzate; vecchi e bambini trucidati. Case e chiese saccheggiate, monumenti abbattuti, libri bruciati, scuole chiuse. La fucilazione di massa divenne pratica quotidiana. Dal 1861 al 1871, un milione di contadini furono abbattuti; anche se i governi piemontesi su questo massacro non fornivano dati, perché nessuno doveva sapere.

Col termine Briganti, coloro che hanno raccontato la storia, hanno voluto volontariamente mortificare tutta quella parte di popolo, che si era ribellata, ancora una volta, all’invasore: “Combattemmo, nella nostra terra, una guerra legittima di liberazione e di resistenza contro una cultura ed un popolo stranieri, difendemmo palmo a palmo, case, terre e famiglie da una rivoluzione che non poteva e non doveva essere nostra, uccidemmo e morimmo come i tanti e sconosciuti eroi di una contro-rivoluzione che ci aveva già visto combattere e morire in Francia o in Spagna, nel 1799 come nel 1820, nel 1848 come nel 1860.”

Ecco chi erano i BRIGANTI.

Ma le mortificazioni non erano finite: 5212 condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione consumata all’indomani dell’Unità d’Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863 “… per la repressione del brigantaggio nel Meridione”

A migliaia questi uomini furono concentrati nei depositi di Napoli o nelle carceri, poi trasferiti in veri e propri lager: i prigionieri, appena coperti da cenci di tela, potevano mangiare una sozza brodaglia con un po’ di pane nero raffermo, subendo dei trattamenti veramente bestiali, ogni tipo di nefandezze fisiche e morali. Per oltre dieci anni, tutti quelli che venivano catturati, oltre 40.000, furono fatti deliberatamente morire a migliaia per fame, stenti, maltrattamenti e malattie.

Quelli deportati a Fenestrelle, fortezza situata a quasi duemila metri di altezza, sulle montagne piemontesi, subirono il trattamento più feroce.

Erano stretti insieme assassini, sacerdoti, giovanetti, vecchi, miseri popolani e uomini di cultura. Senza pagliericci, senza coperte, senza luce. Vennero smontati i vetri e gli infissi per rieducare con il freddo i segregati. Laceri e poco nutriti era usuale vederli appoggiati a ridosso dei muraglioni, nel tentativo disperato di catturare i timidi raggi solari invernali, ricordando forse con nostalgia il caldo di altri climi mediterranei.

La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi (non erano ancora in uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all’ingresso del Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti. Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è ancora visibile l’iscrizione: “Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce”.
(ricorda molto la scritta dei lager nazisti)

E anche in questo caso, chi ha scritto la storia, ha voluto umiliare ancora una volta il popolo del Sud. Il lager di Fenestrelle non viene menzionato mai, come se non fosse mai esistito, viene però messo in risalto lo SCANDALOSO museo di Cesare Lombroso fondato a Torino, dove sono esposti, come fenomeni da baraccone, i corpi e le teste mozzate, di quelli che furono considerati dei criminali perchè osavano difendere la propria terra. Corpi straziati, mutilati e umiliati, mai restituiti alle famiglie che non hanno potuto dar loro, degna sepoltura.

Ecco chi erano i BRIGANTI

 

Tags: BorboniBrigantiFenestrellemassacriPiemontesirivoltaUnità di Italia
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