“Un metro e ottanta, 68 libbre di muscoli, e il più bel sorriso della tribù dei Femminielli!”: così una troupe televisiva approdata all’ombra del Vesuvio dalla Francia, descrive “Peppe il pescivendolo”.
Peppe è una figura emblematica, non solo della napoletanità più genuina e carismatica, ma anche e soprattutto della forma più antica e longeva di omosessualità.
Peppe è un esempio di perfetta e compiuta integrazione: accanto al suo chiosco siamo sgusciati innumerevoli volte senza mai storcere il naso, anzi.
Peppe non è più “un caso al quale far caso” perché appartiene e pertiene all’ordinaria consuetudine di quel contesto.
Vuoi per la sua solare e colorita loquacità, vuoi per quel modo di fare, carnale, gioviale, semplice ed amichevole piuttosto che per l’eco della notorietà consegnata proprio dall’intervista confezionata dalla tv francese e pubblicata su youtube, divenuta un autentico fenomeno virale, consentendo a Peppe di presentarsi anche a chi ignorava la sua esistenza, ma all’ormai famigeratissimo pescivendolo omosessuale di Napoli, proprio non si può indirizzare avversione.
Al cospetto di Peppe, diventa tutto estremamente semplice e “omofobia” risulta una parola tanto, troppo complessa, incapace di contendersi la scena con una semplice ed autentica star.
Il grande merito di Peppe è proprio quello di aver dimostrato la semplicità di qualcosa che nella reale sostanza dei fatti lo è davvero. È la nostra cieca ostinazione a volerla macchiare di cocciuta e becera complessità.