David di Donatello 2015, trionfa Anime nere, il film del regista romano Francesco Munzi.
Il film, il primo girato nella Locride, vince 9 statuette (aveva ottenuto 16 candidature lo scorso 11 maggio): miglior film e miglior regia per Francesco Munzi che batte Nanni Moretti (Mia madre), Mario Martone (Il giovane favoloso) Saverio Costanzo (Hungry Hearts), Ermanno Olmi (Torneranno i prati).
Ottiene inoltre, il premio alla sceneggiatura che va a Maurizio Braucci, Munzi e Fabrizio Ruggirello, scomparso in dicembre a cui il regista lo dedica, alla fotografia, al montaggio (Cristiano Travaglioli), al miglior fonico di presa diretta (Stefano campus).
E ancora, miglior produttore a Luigi Musini per Cinemaundici e Paolo Del Brocco per Raicinema, la miglior canzone originale è Anime nere, interpretata da Massimo De lorenzo, musica e testi di Giuliano Taviani. E miglior colonna sonora ancora a Taviani.
Francesco Munzi torna al cinema firmando con questo suo terzo film, una tragedia “greca”, di fatto calabrese, ispirandosi al romanzo omonimo di Gioacchino Criaco, edito nel 2008 da Rubettino (coraggiosa casa editrice, da sempre attenta all’indagine della cultura calabrese, e non solo).
Munzi arriva a questa opera difficile dopo aver sperimentato storia e stile nei suoi due primi film, Saimir e Il resto della notte.
Qui si porta nel cuore della Calabria e della sua cultura ancestrale in odore di ‘ndrangheta e lo fa da “straniero”, con sguardo aperto, consapevole del rischio, quello di rappresentare luoghi, storie, personaggi quasi mai raccontati prima (la ‘ndrangheta è misteriosa anche al cinema).
A cosa si è appigliato Munzi per ricreare quel mondo così complesso e misterioso? Qual è l’immaginario di riferimento, laddove uno non c’è? Quanti film d’ambientazione calabrese si ricordano? Quanti che raccontano la cultura della ‘ndrangheta?
In assenza di una iconografia stratificata, Munzi si affida alla scrittura, quella del libro da cui è tratta la storia e la sua, quella di un regista-sceneggiatore. Poi ci sono i suoi occhi che hanno visto la Calabria e che hanno visto tanto cinema.
Munzi fa un lavoro egregio e il suo affondo è potente, Anime nere non è un film di denuncia e non è un film realistico. È un film-racconto, dai forti contrasti, frutto di una scrittura approfondita.
Sarebbe un errore quindi considerare Anime nere come la rivelazione di una realtà. Munzi non è Garrone, Criaco non è Saviano, Anime nere non è Gomorra e soprattutto non vuole esserlo.