La Campania è stata per secoli fonte di ispirazione per poeti e scrittori: il fascino dei paesaggi idilliaci, una storia lunga ed affascinante, una lingua popolare dal tono forte e ricco di espressioni, le tradizioni e le leggende folkloristiche rendono questo territorio il luogo ideale per fungere da cornice a storie sia fantastiche che storiche. Forse, oggi, tendiamo a sottovalutare le risorse letterarie e culturali che abbiamo avuto e che tutt’ora continuiamo ad avere, ed è per questo che vogliamo ricordare almeno alcuni dei grandi personaggi che hanno contribuito a mantenere e consegnarci una solida tradizione scritta. Il soggetto che andremo ad analizzare sarà Basile, noto scrittore campano vissuto tra il XVI e il XVII secolo in età barocca.
Basile nacque da famiglia nobile benestante nel 1566 a Giugliano di Campania e sfortunatamente non possediamo informazioni sulla sua giovinezza. Viaggiò spesso per l’Italia, fino ad arrivare a Venezia dove si arruolò come soldato mercenario per la Serenissima spostandosi tra Venezia e Candia (Creta), e poté frequentare l’ambiente culturale dell’Accademia dei Lunatici o Stravaganti fondata da Andrea Cornaro. Ivi iniziò a comporre nel 1604 alcune lettere come prefazione alla Vaiasseide, un poemetto eroicomico scritto in lingua napoletana da Giulio Cesare Cortese. Nel 1608 tornò a Napoli, dove compose un poema intitolato “Il pianto delle Vergini”, e ripartì nel 1611 per prendere parte alla corte di Luigi Carafa, principe di Stagliano, a cui dedicò “Le avventurose disavventure”. Si recò poi a Mantova alla corte dei Gonzaga ed entrò nell’istituzione culturale che raccoglieva i maggiori intellettuali napoletani e spagnoli ed aveva il motto “Non pigra quies”: l’Accademia degli Oziosi, fondata da Giovanni Battista Manso. Nel 1613 ottenne la nomina a Conte Palatino e divenne successivamente Conte di Torone (in provincia di Caserta). Dopo aver composto altre opere, tra cui un dramma (La Vergine Addolorata), tornò a Napoli e qui mantenne vari feudi per alcuni signori meridionali. Nel 1618 pubblicò l’Aretusa, dedicata al principe Caracciolo di Avellino, mentre nel 1619 un testo teatrale in cinque atti, “Il guerriero amante”. Morì nel 1632 nel paese natale e fu sepolto nella chiesa di Santa Sofia.
L’opera più importante di Basile è stata “Lo cunto de li cunti” (conosciuta anche come Pentamerone), composta a Napoli e pubblicata postuma tra il 1634 e il 1636, interamente in lingua napoletana. Particolare attenzione va posta sulla struttura del testo: si tratta di 50 racconti che utilizzano il genere della fiaba come modello di espressione popolare e sono ambientate tra la Basilicata e la Campania. Evidente è il carattere satirico e morale dei dialoghi in versi che prendono di mira i vizi umani alla fine di ogni giornata. Sulla scia del Decameron di Boccaccio, i racconti sono collocati in una cornice che funge da prima storia e trova conclusione alla fine dell’opera: la principessa Zoza non riesce più a ridere ed inutilmente il padre tenta l’impresa; un giorno ella trova il riso vedendo da una finestra una vecchietta che cade, la quale non gradendo la risata della ragazza, le getta addosso una maledizione che le permetterà di sposare solo il principe Tadeo che per via di un incantesimo si trova in uno stato di morte apparente. Zoza potrà risvegliarlo solo dopo aver riempito in tre giorni un vaso di lacrime, ma sventuratamente ella si addormenta prima di colmarlo. Una schiava moresca approfitta della situazione e versa le ultime lacrime al suo posto, risvegliando così il principe che la sposa. La principessa allora convince la schiava ad ascoltare le fiabe narrate ogni giorno da dieci vecchie: il quinto giorno si sostituisce all’ultima vecchia raccontando la sua storia e svelando così l’inganno tesole. Il principe scoperta la verità, fa condannare a morte la schiava e sposa Zoza.
Tra le novelle più importanti va ricordata la sesta del prima giornata: la Gatta Cennerentola. Questa è la più antica versione della fiaba Cenerentola che verrà successivamente ripresa da Perrault e dai fratelli Grimm e riadattata poi come testo teatrale da Roberto De Simone. La differenza principale con le fiabe successive è l’omicidio, eseguito da Cenerentola, della prima matrigna, a cui subentra una seconda anche peggiore.
Ambra Salzillo