Papa Francesco per l’ottavo viaggio apostolico del suo pontificato ha scelto di recarsi ieri a Sarajevo.
E’ stato un viaggio durato solo 24 ore, come anch’egli ha precisato, ma al quale teneva particolarmente.
Bergoglio si appresta ad eguagliare Karol Wojtyla come papa più globetrotter della storia della Chiesa: entrambi infatti sono forti sostenitori dell’importanza della missione evangelizzatrice nel mondo che si realizza portando in prima persona una testimonianza di pace e di speranza alle persone che hanno poca familiarità con queste due parole.
Papa Francesco sapeva bene che, recandosi nella capitale della Bosnia ed Erzegovina, non si trattava esattamente di una passeggiata spensierata: già atterrando all’aeroporto di Sarajevo, là dove adesso ci sono colline con campi coltivati, non più di venti anni fa si combatteva una guerra civile che notte e giorno portava morte e distruzione.
Successivamente gli accordi di Dayton, sono state costituite due entità: una abitata dai serbi e un’altra zona composta dalla federazione croato-musulmana. I musulmani rappresentano il 40% della popolazione, i serbi ortodossi il 31% e i cattolici meno del 10% (più o meno 20 mila, ma prima della guerra erano 150 mila).
Papa Francesco sa bene di essere atterrato nella “Gerusalemme d’Europa” – come è stata spesso definita Sarajevo- , un puzzle molto complesso di popoli e culture, e decide di recarsi prima al Palazzo presidenziale della capitale per un colloquio con i governanti e poi allo stadio dove alle 11 ha presieduto la messa alla quale hanno partecipato più di 65000 persone.
Alle autorità politiche di Sarajevo, durante il suo intervento, Bergoglio ha ricordato che “I responsabili politici sono chiamati al nobile compito di essere i primi servitori delle loro comunità con un’azione che salvaguardi in primo luogo i diritti fondamentali della persona umana, tra i quali spicca quello alla libertà religiosa”.
Invece, durante l’omelia della messa allo stadio, alle migliaia di fedeli stipati sugli spalti Bergoglio ha parlato con la sua solita semplicità e fermezza dell’importanza di salvaguardare ciò che unisce le persone, ma nel rispetto di ciò che ci rende diversi gli uni dagli altri: “Abbiamo bisogno di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare le differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti”.
Papa Francesco non cerca di edulcorare la situazione nei Balcani: avverte il clima di tensione che si respira, ma non perde occasione per sottolineare con fermezza il rifiuto della violenza come strumento di risoluzione dei conflitti ideologici: “È una sorta di terza guerra mondiale combattuta a pezzi. Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una volta da questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà: mai più la guerra!”
Nonostante l’entourage del Papa mostrasse una certa calma, i problemi legati alla sicurezza del Pontefice durante il viaggio pastorale di ieri in Bosnia c’erano eccome: diversi messaggi poco rassicuranti arrivavano dallo Stato islamico che ha reso noto il primo video incentrato proprio sui Balcani. Nel video si vedono dei mujaheddin bosniaci, kosovari e albanesi che inneggiano alla guerra santa e annunciano: “Vendicheremo le umiliazioni dei musulmani” nell’ex Jugoslavia contro “la sottomissione cristiana” e tantomeno hanno parole accoglienti nei confronti del Papa che da lì a poco sarebbe atterrato a Sarajevo.
Tuttavia, Papa Bergoglio in questa occasione come in quelle precedenti si è affidato completamente a Dio e agli uomini della sicurezza che vegliano su di lui e non si è tirato indietro di fronte alla missione evangelica alla quale è stato chiamato.
Neanche il tempo di tornare in Italia, ha già annunciato che a luglio si recherà in America latina, per la precisione in Bolivia, Ecuador e Paraguay.