Gli scavi archeologici di Cuma hanno restituito i resti dell’antica città di Cuma, una delle più antiche colonie greche in Italia, risalente al 730 a.C. ed abbandonata nel 1207 quando venne distrutta dalle armate napoletane.
Il sito, molto esteso, è di grande interesse storico e artistico e merita un’attenzione particolare, in ogni sua parte.
Cominciamo oggi il nostro viaggio con l’Antro della Sibilla.
Scoperto attorno agli anni 30, questo è uno dei luoghi più strani ed intrisi di mistero d’Italia.
Nell’acropoli di Cuma, c’è l’ingresso di una lunga galleria, scoperta nel 1932, interpretata dagli archeologi come il luogo dove, 2000 anni fa, la Sibilla cumana, la somma profetessa del dio Apollo, insieme alle sue sacerdotesse, riceveva i responsi degli Dei, che lei interpretava attraverso il dono della Mantica ( capacità divinatoria attraverso la quale si interpretavano alcuni segni naturali – fulmini, volo di uccelli, eventi celesti, presagi spontanei – o artificiali – cioè dovuti all’intervento dell’indovino che interrogava sostanze, quali olio, fumo e viscere di animali )
Secondo la leggenda storica, sarebbe un percorso misterioso ed oscuro, una grotta lunga 130 metri, illuminata da 6 gallerie laterali e terminante in una sala rettangolare dove la celeberrima Sibilla Cumana svolgeva la sua attività oracolare. Visitando la galleria ci si sente infatti disorientati: sembra che la grotta non abbia fine.
La data di costruzione è alquanto incerta: secondo Amedeo Maiuri venne realizzata tra il VII ed il VI secolo a.C., come testimoniato dal tipo di taglio della pietra tufacea a forma trapezoidale, mentre altri indicano il periodo della sua costruzione tra il X ed il IV secolo a.C.
L’antro, crollato nella parte iniziale, è interamente scavato nel tufo ed ha un andamento perfettamente rettilineo, anche se tende a scendere verso la parte terminale: ha una forma trapezoidale nella parte superiore, stratagemma antisismico utilizzato dai greci, e rettangolare in quella inferiore, frutto dell’abbassamento del piano di calpestio durante il periodo augusteo; l’intera struttura è quindi lunga centotrentuno metri, alta cinque e larga due e mezzo.
Lungo la parete ovest, ad intervalli regolari, con la stessa forma dell’antro, furono realizzate dai romani nove aperture, di cui tre murate, con lo scopo di illuminare l’ambiente, per permettere il ricambio dell’aria e raggiungere il terrazzamento sul quale erano posizionate le macchine da guerra; sulla parete est si apre una stanza che da accesso a sua volta a tre ambienti, con pavimento ribassato, utilizzati come cisterne e poi come luogo di sepoltura, così come tutto il resto della struttura: lungo lo stesso lato è una piccola stanza, con un sedile in pietra, anche se a causa del soffitto ribassato è impossibile sedersi e la sua funzione rimane quindi sconosciuta.
L’antro termina con una sala con volta piatta, nella quale si aprono tre nicchie: quella sul lato est serve per illuminare l’ambiente, quella sul lato sud è a fondo cieco e quella sul lato ovest ha le dimensioni di un cubicolo, con forma tripartita e preceduta da un vestibolo probabilmente protetto da un cancello di cui si notano ancora i fori degli stipiti nella parete e secondo la tradizione sarebbe proprio questa la stanza dove risiedeva la Sibilla, anche se la sua costruzione risale probabilmente all’età tardo imperiale.
La Sibilla cumana.
La Sibilla Cumana, per cui Varrone riporta tre possibili nomi: Amaltea, Erofile e Demofileè, è una delle figure semi-mitiche più complesse e affascinanti che emergano dalla letteratura latina.
Essa appare nel VI sec. a.C. quando, secondo una tradizione affermata, fu dalle sue mani che il re di Roma Tarquinio Prisco acquistò una cospicua raccolta di oracoli, redatti in esametri greci su foglie di palma, poi definiti Libri Sibillini.
Secondo la leggenda, si era presentata a Tarquinio Prisco con nove libri chiedendo un compenso che il re reputò troppo alto: ne bruciò tre e poi altri tre mantenendo il prezzo inalterato, finché il re comprò gli ultimi tre al prezzo dei nove.
La leggenda che indica la Sibilla Cumana come autrice dei Libri Sibillini trova riscontro nel fatto che l’area cumana era sede di oracoli sin da età remota.
E’ forse più sulla scorta di questa tradizione locale, che sulla presunta origine cumana dei Libri Sibillini, che Virgilio, nel libro VI dell’Eneide, descrisse la figura tremenda della Sibilla, maestosa sacerdotessa di Apollo e di Ecate Trivia, custode degli oracoli divini e delle porte dell’Ade, che mostra il futuro e gli abissi del Tartaro a Enea quando questi sbarcò presso le sponde cumane.
LA SIBILLA CUMANA E VIRGILIO (Eneide III, 445-452)
“La vergine dispone in ordine tutti i responsi che scrisse
sulle foglie, e li lascia rinchiusi nell’antro. I responsi
rimangono immobili nel luogo e non si allontanano dall’ordine;
ma quando, girato il cardine, un lieve vento
li spinge e la porta scompiglia le tenere fronde,
giammai, poi, volteggianti nella cavità della roccia,
lei si cura di riprodurre le posizioni o di connettere i responsi:
i visitatori si allontanano senza risposta, e odiano la sede della Sibilla”.
Oltre all’attività oracolare nel poema di Virgilio la Sibilla è colei che conduce e guida Enea nell’oltretomba.
Si dice che la sacerdotessa, prevedesse il futuro rispondendo in modo enigmatico, criptico ed ambiguo alle domande che gli antichi guerrieri le sottoponevano prima di partire per la guerra.
E’ da questa antica credenza che nasce l’epressione “rispondere in maniera sibillina”.
L’Antro della Sibilla di Cuma non è stato, a tutt’oggi, del tutto esplorato e resta ancora il mistero su cosa, queste oscure porte dell’oracolo, potrebbero celare dietro o sotto di loro.