Port’ Alba è una delle porte della città, insieme a Porta S. Gennaro, Porta Nolana e Porta Capuana, non demolite e ancora visibili e al contrario delle altre, è la più recente.
Costruita nel 1624, non ha subito spostamenti, solo un allargamento alla fine del ‘700 e la sistemazione di una statua di S. Gaetano Tiene (proveniente dall’abolita porta Reale) così come la vediamo ancora oggi.
L’iscrizione collocata in alto invece, che menzionava Federico IV di Borbone, venne poi demolita nel 1799 durante i conflitti della Repubblica Napoletana.
La porta conduce intra moenia (dentro le mura) antiche della città partenopea.
Prima di Port’Alba, c’era un vecchio torrione di guardia, risalente alla murazione angioina del XIV sec.
Nel 1536, il vicerè spagnolo Don Antonio Alvarez de Toledo, duca d’Alba e discendente di Don Pedro de Toledo, lo aveva lasciato al suo posto, pur avendo modificato l’andamento delle mura. Per entrare uscire dalla città verso il Mercatello, era necessario utilizzare altre porte più lontane.
Si narra che gli abitanti della zona, stanchi di dovere allungare il tragitto per entrare e uscire, cominciarono a scavare di nascosto, alla base del torrione, “nu’ pertuso” (pertugio, buco) per poter passare almeno una persona alla volta, proprio come succedeva, là dove fu costruita Porta Medina (oggi non più esistente)
Le autorità intervenivano regolarmente per tapparlo, ma, ogni volta, i “soliti ignoti” riprendevano a scavare.
Visti inutili ogni intervento e viste le continue petizioni della cittadinanza e soprattutto, stufo delle continue “rotture” della cinta muraria, il principe don Paolo di Sangro di San Severo, pregò il vicerè di erigere una porta presso il largo Mercatello (attuale piazza Dante). Nel 1624, il vicerè duca d’Alba, acconsentì alla demolizione del torrione e alla costruzione prima di un piccolo passaggio e poi alla costruzione della porta che, da lui, prese il nome.
La costruzione fu commissionata all’architetto Pompeo Lauria che la fece decorare con ben tre stemmi: uno dedicato a Filippo III, uno dedicato al vicerè e uno rappresentante la città partenopea.
Come tutte le altre, Port’Alba, nel 1656, fu decorata da Mattia Preti, con alcuni affreschi riproducenti la Vergine con San Gennaro e San Gaetano e la scena dei moribondi appestati.
Il breve tratto di strada che la collega a una controporta, una specie di androne oscuro, per fortuna “zona pedonale“, è percorso ogni giorno da migliaia di persone; il passaggio è invaso da bancarelle di libri antichi e moderni, soprattutto scolastici e universitari, venduti a prezzi di saldo.
Proseguendo sotto Port’Alba, proprio nell’angolo dell’androne, troviamo un “pezzo” storico di Napoli, l’Antica Pizzeria Port’Alba, la 1° pizzeria al Mondo.
Essa esiste dal 1738 come “pizzeria ambulante” e soltanto nel 1830 diventa una pizzeria a tutti gli effetti. Ancora oggi la pizzeria è dotata di un banco sulla strada per la vendita di pizze da consumare in piedi, ripiegate a libro. Ad apprezzarne il gusto illustri uomini quali Gabriele D’Annunzio, Benedetto Croce e Salvatore di Giacomo. Dal 1738, fino alla metà del ‘900, la pizza che qui si vendeva era anche detta “pizza oggi a otto“, poiché poteva essere pagata ad otto giorni dal suo consumo.
Port’Alba per lungo tempo è stata denominata dal popolo Porta Sciuscella dal nome dei frutti di carrubo che continuamente finivano in strada e provenienti dal vicino giardino del convento di San Sebastiano, che trasformavano la strada in una vera e propria distesa di carrubi, che i contadini chiamavano sciuscellito.
In passato, nei pressi di questo scrigno di storicità, si sono consumati anche i delitti più efferati, come l’assassinio di Cesare d’Aquino, Principe di Pietrelcina.
Il portico è anche oggetto di una particolare quanto suggestiva leggenda dalle numerose e colorite varianti: Maria una donna bellissima, dai capelli rossi, era innamorata di un uomo che abitava al di là delle mura. Quando finalmente fu aperto questo spazio ella avrebbe potuto raggiungere il suo amato, eppure c’era una forza sovrannaturale che impediva ad ambedue di oltrepassare il portico per incontrarsi.
Sconfitta dalle pene d’amore la donna cominciò a trascurarsi, dimagrendo ed imbruttendosi al punto tale che il popolo la tacciò di stregoneria e la rinchiuse in una gabbia proprio al di sotto del portico, finché non morì di fame e di sete. Si dice che Maria la rossa, ancora oggi vaghi per quelle vie per ricongiungersi al proprio amato.
Una piccola curiosità su Mattia Preti:
Mattia Preti in quei tempi si trovava a Roma, dove era stato coinvolto in duelli più o meno cruenti, per i quali comunque era sempre riuscito a cavarsela con la giustizia papalina.
Ma l’ultimo gli fu fatale, e non fu perdonato: aveva, non si sa bene se ammazzato o ferito mortalmente un critico d’arte che aveva giudicato cattivi i suoi affreschi di S. Andrea della Valle.
Perciò abbandonò Roma in fretta e furia, dirigendosi di corsa verso Napoli, inseguito dalle guardie del Papa.
Era l’anno 1656, Napoli era circondata da un cordone sanitario a causa della peste, nessuno poteva entrare o uscire dalla città.
Arrivato davanti alla città, Mattia fu bloccato dai soldati di guardia. Messa mano alla spada, ne ammazzò uno e si introdusse in città. Inseguito, fu riconosciuto, arrestato e condannato a morte.
Ma, si salvò ancora una volta grazie alla sua arte: il tribunale della Vicaria gli commutò la pena capitale in quella di dipingere, naturalmente senza alcun compenso e sotto scorta, quadri votivi su tutte le porte della città.