La Shell ha ottenuto il via libera a riprendere le trivellazioni nell’Artico.
L’amministrazione Obama si schiera con i giganti del petrolio e permette alla compagnia petrolifera Royal Dutch Shell, di iniziare le sue attività nel Chukchi Sea, al largo delle coste nordorientali dell’Alaska. La decisione è stata presa tre anni dopo il blocco delle operazioni della Shell a causa di una serie di errori e contrattempi.
Già nel 2012 la Shell aveva ricevuto il permesso di trivellare i fondali al largo dell’Alaska, ma a causa di numerosi problemi nelle operazioni preliminari di ricerca e esplorazioni, i permessi per le trivellazioni nel 2013 erano stati sospesi dal Dipartimento dell’Interno.
Lunedì 11 maggio, il ribaltamento delle posizioni: il Dipartimento dell’Interno degli Stati Uniti ha deciso che Shell potrà, a partire da questa estate, iniziare delle trivellazioni per estrarre petrolio e gas dai fondali dell’oceano Artico, al largo dalle coste dell’Alaska, dichiarando che le attività saranno soggette a “rigorosi standard di sicurezza”.
La decisione è stata ovviamente molto criticata dalle associazioni ambientaliste promettendo manifestazioni ad oltranza, per chiedere di fermare il progetto. Ecco quali sono le principali motivazioni:
- Le trivellazioni nelle acque dell’Artico sono più pericolose rispetto a quelle nei mari più temperati e potrebbero causare disastri ancora più gravi di quello della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon dell’aprile 2010, quando quasi cinque milioni di barili di greggio si riversarono nel Golfo del Messico.
- La più vicina stazione di guardia sulla costa con attrezzature in grado di rispondere a una fuoriuscita di petrolio si trova a più di 1.500 chilometri di distanza.
- Nell’area delle trivellazioni il clima è estremo, le acque sono ghiacciate e spesso ci sono forti tempeste, con onde fino a 15 metri. Il mare inoltre è una zona di migrazione e di alimentazione di mammiferi marini, tra cui balene artiche e trichechi.
- Secondo Tim Donaghy, ricercatore specializzato di Greenpeace, “la Shell ha una storia di pericolosi malfunzionamenti nell’Artico, mentre gli scienziati di tutto il mondo sono d’accordo nel dire che il petrolio artico deve restare dov’è se si vuole evitare un catastrofico cambiamento climatico”.
- Erik Grafe, avvocato di Earthjustice, una ong che si occupa di questioni ambientali da un punto di vista legale, ha dichiarato che “la decisione antepone il petrolio alle persone e mette a rischio l’ecosistema dell’Artico e la salute del nostro pianeta”. Secondo Grafe il progetto si basa “su un’analisi dell’ambiente e della sicurezza affrettata e incompleta”.
- Susan Murray, vicepresidente del gruppo ambientalista Oceana, ha dichiarato che “la Shell non ha dimostrato di essere pronta a operare in modo responsabile nell’oceano Artico e né l’azienda né il nostro governo sono stati disposti a valutare in modo completo e corretto i rischi della proposta della Shell”.
Ad affiancare le proteste degli ambientalisti anche il team di Avaaz:
Prima di raggiungere l’Artico, le mega navi della Shell devono attraccare a Seattle. E lì c’è una persona che può negare alla Shell l’ultimo permesso di cui ha bisogno: il sindaco ambientalista di Seattle Ed Murray, che ha già vietato alle navi l’accesso al porto. Ma Shell ha praticamente dichiarato che a loro non interessa, e che le navi attraccheranno ugualmente, che la città sia d’accordo o meno.
Ora tocca al Sindaco di Seattle scegliere se cedere alla prepotenza della multinazionale o opporsi con tutte le sue forze a queste trivellazioni nell’Artico. Sappiamo che è dalla nostra parte, ma non gli sarà facile mettersi di traverso a una delle più grandi multinazionali al mondo. Ma gli possiamo dimostrare che il mondo intero è dalla sua parte e dalla parte dei cittadini di Seattle, nel fare tutto quello che serve per dire “Fermiamo Shell!” e le trivellazioni nell’Artico,