A poco più di cento chilometri da Napoli (A3, uscita Campagna), girovagando attraverso le magnifiche faggete, le spettacolari doline, i falsopiani carsici, le sorgenti d’acqua cristallina, cascate, laghi, fiumi e ruscelli che rafforzano, in chi li ammira, il corpo e lo spirito, dove il respiro e lo sguardo dilata, non ci si può sbagliare, ci troviamo sui Monti Alburni, anche dette, per la loro conformazione carsica, fatta di torrioni e cuspidi, Dolomiti del Sud.
I Monti Alburni sono un massiccio carsico ricco di doline, grotte, cavità e inghiottitoi che si trovano tra la valle del Sele e del Tanagro e fanno parte del Subappennino lucano. La loro morfologia, è davvero notevole e spettacolare, soprattutto dal lato occidentale (ad esempio dalla Piana del Sele).
Il nome della catena è dato dal Monte Alburno nei pressi di Sicignano e Petina, la cui vetta raggiunge i 1742 m. Noto anche come Monte Panormo per le ampie vedute che offre dalle sue pendici, è stato menzionato da Virgilio nelle sue Georgiche.
Dalla gente del luogo i suoi monti venivano creduti Titani provenienti dall’antistante Mar Tirreno per sfuggire all’ira di Nettuno.
Ricco di sentieri e mulattiere, la catena degli Alburni costituisce oggi il cuore del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano e Alburni.
Al centro di essi, su di una strada che congiunge Sant’Angelo a Fasanella a Petina e Polla si trova la scultura rupestre dell’Antece, realizzato in prossimità della Cima di Costa Palomba.
Tra i reperti archeologici rinvenuti sul territorio di Sant’Angelo a Fasanella (diversi sono stati in zona i ritrovamenti di oggetti dell’età del bronzo oltre a frammenti di oggetti di età romana) un posto di primo piano merita il “Guerriero di Costa Palomba”. E’ una scultura rupestre risalente al V-IV secolo a.C., localizzata nell’omonima località, ad una altezza di 1125 m sul livello del mare. L’effigie è quella di un antico guerriero detto “Antece”, che nel gergo locale potrebbe significare ‘antico’ o ‘immobile’. Il gioco di luci che naturalmente viene a crearsi nell’arco della giornata avvolge spesso questa scultura di una atmosfera magica conferendole un indescrivibile fascino.
Ricavata a rilievo dalla roccia, è a grandezza naturale e raffigura un guerriero vestito di una corta tunica, stretta in vita da una cintura da cui pende una spada. Con la mano destra impugna una lancia alla cui base sta poggiato uno scudo borchiato; con la sinistra regge qualcosa ma l’alterazione della pietra non ne consente la decifrazione. Sulla sommità del capo v’è traccia di un elmo probabilmente asportato. Sul quadrante superiore sinistro della roccia compaiono tracce di un taglio di forma circolare che, insieme all’andamento curvilineo della base su cui poggia la figura, fanno supporre che la statua fosse inscritta in un ideale cerchio.
A una decina di metri dalla scultura è stata rinvenuta una vasca ellittica di circa 85×120 cm. e profonda circa 20, dotata di un piccolo canale di scolo centrale: forse una vasca sacrificale utilizzata da popolazioni che consideravano l’area di Costa Palomba come un centro sacro. A questo punto viene da pensare che la scultura raffiguri un dio oppure che costituisca un cenotafio collocato in un’area sacra a ricordo di un eroico guerriero sepolto altrove e per qualche motivo oggetto di venerazione in questo luogo.
Come spesso accade in alcune aree del nostro Paese, nelle quali i millenni di storia sovrappongono culti a culti, a volte fondendo simboli e credenze di origine diversa, anche a Sant’Angelo a Fasanella – a poca distanza dal Guerriero di Pietra – vi è un altro luogo di culto, questa volta cristiano ma con probabili frequentazioni pre-cristiane. Si tratta della Grotta di S. Michele Arcangelo, sede nell’XI secolo di una comunità religiosa benedettina; non sono tuttavia da escludere possibili insediamenti precedenti risalenti alla diffusione della civiltà greca nel Cilento.
Alcuni resti in muratura, addossati alla parte esterna della roccia, sembrano risalire ai primi decenni del 1300. Alla grotta si accede da un semplice portale sotto i cui due stipiti compaiono un leone e una leonessa dalle forme arcaiche. All’interno della grotta, oltre ad un pozzo e alla tomba dell’abate Francesco Caracciolo, si trova una edicola di stile gotico molto alta. Nella cavità più profonda ha sede la cappella dedicata all’Immacolata, sul cui altare campeggia una tela risalente al XVII secolo. Lungo gli spazi circostanti si notano affreschi trecenteschi e sculture. Sul fondo della grotta si staglia, invece, uno sfarzoso altare seicentesco fatto costruire, così come il pozzo e il pulpito, dall’abate Francesco Caracciolo, e su di esso troneggia la statua marmorea di S. Michele Arcangelo, nume tutelare di questo antico luogo di culto.
La natura carsica del complesso ha favorito la formazione di un gran numero di grotte e cavità (circa 400) tra le quali sono famose quelle di Castelcivita, le più estese del sud Italia, e di Pertosa (Grotte dell’Angelo), costellata di stalattiti e che contiene un lago sotterraneo di acqua plumbea e gelida.
Le Grotte di Castelcivita sono un complesso di cavità carsiche particolarmente ricche di stalattiti e stalagmiti dalle mille forme e si estendono per svariati chilometri.
Sono conosciute anche come Grotte di Spartaco, per via di una narrazione popolare (plausibile ma non appurata) che vide il gladiatore romano sostare in queste cavità, mentre muoveva la rivolta degli schiavi verso Roma.
Le Grotte di Pertosa si trovano nei pressi del fiume Tanagro, immerse nel cuore di una natura spettacolare. L’intero complesso delle Grotte si estende per una lunghezza di circa tremila metri, sospesi tra terra e acqua, in un’alternanza così suggestiva da emozionare chiunque. Ciò che rende uniche queste grotte è il fiume sotterraneo Negro: un fiume proveniente dalle più recondite profondità che offre un affascinante ed inconsueto viaggio in barca immersi in un silenzio magico, laddove luci ed ombre si incontrano e si confondono in un gioco sempre nuovo, rimanendo incantati dallo scrosciare della grande cascata naturale.