“Era la notte buia dello Stato italiano, quella del nove maggio settantotto”, cantano i Modena City Ramblers nella canzone I cento passi, colonna sonora dell’omonimo film sulla vita e l’assassinio da parte della mafia del giornalista siciliano Peppino Impastato.
Assassinio che, prima di essere riconosciuto come tale, è stato definito per quasi venti anni un “attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda, nella cui esplosione è rimasto vittima lo stesso attentatore”, come si legge in un documento dell’epoca che racconta l’accaduto.
Peppino era un personaggio scomodo e poco amato, come spesso accade a chi denuncia la verità.
Fin da giovanissimo si era ribellato al clima di omertà e di collusione con la mafia che si respirava nella sua Cinisi, schierandosi apertamente contro il boss Gaetano Badalamenti che abitava appunto a cento passi da casa sua.
Poteva scegliere di partire e di fregarsene della tua terra oppure rassegnarsi al fatto che Cosa nostra controllava tutto: o facevi parte della “famiglia” o ne eri fuori a tuo rischio e pericolo.
Impastato seguì la strada più difficile: fondò Radio aut nel 1977 e il suo programma più seguito era proprio “Onda Pazza a Mafiopoli”, dove la sua satira non risparmiava nessuno dei personaggi di cui conosceva personalmente le malefatte.
Nessuno strumento più di una radio autofinanziata e autogestita può entrare nelle case delle persone e Peppino Impastato non era uno che le cose le mandava a dire: celebre una sua frase, ripresa anche fedelmente nel film, dove senza misure afferma: “Io lo voglio dire, anzi lo voglio urlare che la mafia è una montagna di merda!”.
Il 9 maggio di 37 anni fa però, la mafia decide che Impastato deve morire e lo ammazza per poi far ritrovare il suo corpo, o meglio ciò che ne restava dopo l’esplosione dell’ordigno, sui binari della linea Trapani – Palermo. Vengono perquisite le abitazioni dei suoi compagni di radio e di partito, ma almeno inizialmente nessuno pensa di indagare su colui che poi sarà riconosciuto come mandante del delitto appena venti anni dopo: il boss mafioso Badalamenti.
A più di 30 anni dalla sua scomparsa, si continua a ricordare e a parlare di Impastato come esempio di impegno civile: oggi a Bologna e a Roma si terranno une serie di iniziative volte a ricordarlo che coinvolgeranno anche i bambini e i ragazzi delle scuole medie e superiori sotto il patrocinio di Libera, l’associazione nomi e numeri contro le mafie.
A fronte di queste giuste iniziative, fa ancora discutere che il casolare di Cinisi dove fu ucciso Impastato sia ancora di proprietà di un privato che ci porta a pascolare le mucche, dopo più di un anno dal provvedimento della giunta della regione Sicilia che sanciva il suo riconoscimento come “luogo di interesse culturale e monumento della legalità”.
“E’ una vergogna”, afferma Giovanni Impastato, fratello del giornalista che insieme alla madre Felicia portano avanti il ricordo dell’impegno di Peppino per la sua terra con l’associazione Casa Memoria.
Un atto criminale, l’ennesimo, contro la memoria che è un dovere civico per ricordare chi ha pagato con la vita i suoi ideali di giustizia e di libertà.