La mappa delle antiche fortificazioni e delle relative monumentali Porte di Napoli, è supportata purtroppo dai rarissimi documenti recuperati negli archivi storici della città.
Le notizie che ci giungono da queste fonti, risultano troppo frammentarie, talvolta contraddittorie e spesso non consentono nemmeno, una precisa lettura in chiave storica, pertanto risulta complessa una ricostruzione precisa nell’ambito di una identificazione sistematica degli ingressi dell’antica città, a prescindere dai vari e continui rimaneggiamenti, sostituzioni e demolizioni operate nei secoli scorsi.
Molte erano le aperture che si profilavano lungo l’itinerario difensivo e tante porte prendevano il nome delle famiglie nobiliari che risiedevano in zona, oppure della destinazione di strade da cui i varchi partivano, o delle strutture che spiccavano per importanza nei suoli limitrofi.
Abbattute nei secoli, addossate ai palazzi, smembrate per esigenze costruttive nuove, se ne è dispersa la memoria. Nate come pertugi di un sistema difensivo indispensabile, hanno subito le modifiche dei tempi e delle necessità urbanistiche e sociali.
Questo è il caso di Porta Medina.
Nel 1597, durante il viceregno del Conte di Olivares Enrique de Guzmán, il popolo che non intendeva più fare lunghi giri per entrare in città, praticò abusivamente (analogamente a quanto avvenne per Port’Alba) un’apertura posticcia (in napoletano pertuso) nell’antica muraglia angioina, in modo tale da agevolare il passaggio di coloro che provenivano dalla zona collinare, i quali per entrare in città, dovevano giungere fino alla Porta dello Spirito Santo.
La popolazione era aumentata, il territorio aveva la necessità di ampliarsi e le mura iniziavano ad essere una limitazione per quello che riguardava gli spostamenti immediati della cittadinanza. Al ché il popolo finiva con aprire autonomamente degli ingressi anche senza autorizzazione.
Nel 1640 Cosimo Fanzago, incaricato dal viceré Duca di Medina, provvide a realizzare la porta, ai cui lavori collaborò anche Bartolomeo Picchiatti, regolarizzando il pertuso aperto. Per tale motivo la porta, che fu dedicata al viceré, continuò ad essere appellata dal popolo Porta Pertuso.
La porta subì numerosi danni durante i fatti d’armi del 1799 (le truppe sanfediste pongono l’assedio a Napoli mettendo fine alla Repubblica Napoletana e dando inizio a una feroce e sanguinaria reazione) e lo stemma reale, che si trovava al di sopra dell’iscrizione e degli stemmi vicereali e della città, fu seriamente danneggiato assieme a tutte le strutture in marmo della porta.
Nel 1873 il municipio cittadino, d’accordo con una società francese che intendeva allestire nella zona dei mercati, procedette alla demolizione da cui si salvarono lo stemma e l’epigrafe, conservati prima al Museo Archeologico Nazionale e poi, dal 1889 al Museo di San Martino.
In piazza Montesanto un’epigrafe posta su un edificio di fronte alla Stazione della Cumana ricorda il luogo dove si trovava questa antica porta:
FU IN QUESTO LUOGO / PORTA MEDINA / COSTRUITA DAL VICERE’ / DI QUEL NOME / NELL’ANNO MDCXL / DISTRUTTA / PER PUBBLICA UTILITÀ / NELL’ANNO MDCCCLXXIII
Il busto di San Gaetano di Thiene e l’iscrizione che ne ricordava l’opera salvifica sulla città dalla peste del 1656, che erano posti su uno del lati della porta, sono conservati nella sacrestia della chiesa di Santa Maria delle Grazie in Montesanto.
Fu dunque l’ultima grande porta cittadina ad essere costruita e fu anche l’ultima, sino ad oggi, ad essere abbattuta.
Curiosità