Uno stupro su di una bimba, l’orco che vive nella sua stessa casa, una gravidanza inopportuna e la legge che non tutela, ma condanna. Sono tutti elementi che stridono tra loro, ma fanno tutti parte di una triste, agghiacciante storia.
Ci troviamo in Paraguay, poco distante dalla capitale, dove una bambina di 10 anni subisce da anni violenze fisiche dal patrigno. La mamma della piccola sporge subito denuncia alle autorità, ma queste non le danno ascolto poiché fanno più affidamento alle parole dell’uomo che a quella della donna e, data la mancanza di prove concrete, si decide di non intraprendere nessuna azione legale nei confronti del patrigno della piccola.
Passano delle settimane senza che accadesse alcun episodio rilevante, finché un giorno la bimba viene trasportata in ospedale in preda a dolori addominali: i medici che si occupano di lei, inizialmente pensano ad una forte indigestione, ma gli esami che vengono effettuati sulla bimba rivelano che quest’ultima è incinta di ben 21 settimane.
Da questo momento in poi si aprono dei scenari giudiziari e morali del tutto surreali: la polizia si rende conto che le denunce fatte dalla mamma della piccola erano fondate e, attualmente, è sulle tracce del patrigno-orco che si è dato alla fuga, ma i giudici hanno deciso di intraprendere azioni giudiziarie anche contro la madre della piccola, rea di non averla protetta dal suo stupratore, nonostante quest’ultima l’abbia denunciato più volte.
Le decisioni che più fanno discutere, però, sono quelle prese “a tutela” della piccola vittima: in questo momento la bimba si trova in affidamento presso un istituto minorile, sotto la protezione degli assistenti sociali e i giudici le hanno negato l’aborto.
Questa decisione ha scatenato le polemiche di tutto il mondo: le leggi paraguaiane inerenti all’aborto, consentono l’interruzione della gravidanza solo nel caso in cui questa rappresenti un vero pericolo per la salute della gestante, escludendo quindi i casi in cui la gravidanza sia frutto di uno stupro o di un incesto e i casi in cui il feto presenti delle gravi malformazioni.
L’opinione pubblica non ci sta ad accettare questa decisione, riferendosi proprio alla salute della piccola e ritenendo una grave mancanza di giudizio credere che una bambina di soli dieci anni possa riuscire a portare a termine una gravidanza e affrontare un parto. Sulla questione si è mossa anche l’associazione Amnesty International, che ha condannato la decisione dei giudici come una negazione dei diritti della bambina, accusando quest’ultimi di non aver ancora creato una commissione indipendente e interdisciplinare formata da medici, psicologi e assistenti sociali in grado di valutare la situazione sotto ogni aspetto dovuto.
Amnesty ha anche lanciato una campagna di sensibilizzazione sul caso, utilizzando l’hashtag #NinaenPeligro (bambina in pericolo), che chiede la depenalizzazione dell’aborto in caso di stupro e di incesto e denuncia la mancanza di un intervento adeguato da parte delle autorità che si sono occupate del caso.
Nel frattempo, la madre della piccola è stata condotta in carcere, il patrigno-aguzzino della piccola è ancora latitante e la bambina è stata ricoverata in un ospedale per poter controllare il suo stato di salute.