Donna impavida e anticonformista, dal temperamento ribelle e rivoluzionario, viene annoverata dagli storici, tra le ” Donne di Garibaldi “: Marianna De Crescenzo detta la Sangiovannara.
Nel 1860 l’unificazione d’Italia era in pieno atto e i successi delle camicie rosse in Sicilia indussero Francesco I, il 25 giugno 1860, a richiamare in vigore lo statuto.
Con questa mossa il re sperava di dare un contentino ai liberali, contemporaneamente di arginare le simpatie che Garibaldi andava conquistandosi nella popolazione e di bloccare l’opera di sgretolamento dell’esercito borbonico che andavano compiendo gli emissari del conte di Cavour.
Tuttavia, quello statuto per il quale appena qualche decennio prima i liberali si erano tanto accanitamente battuti, ora non appagava più nessuno: si voleva, adesso, l’Italia unita e libera. Nello stesso tempo, Francesco promulgò un’amnistia che riportò in libertà, con i patrioti, una enorme quantità di camorristi schedati come liberali; le strade di Napoli incominciarono ad essere percorse da turbe di scalmanati che, con la scusa di inneggiare a Garibaldi provocavano disordini.
Liborio Romano, il ministro dell’interno, trasformò astutamente, i camorristi in poliziotti, costituendo la Guardia Cittadina. La sera del 27 giugno, segretamente, l’uomo politico convocò il celebre capintesta Salvatore De Crescenzo detto Tore ‘e Criscienzo e gli domandò se fosse disposto ad assumere il comando della nuova polizia, che doveva prendere il posto di quella borbonica. Ottenuta una risposta affermativa, ricevette altri esponenti della camorra e concertò con essi un piano d’azione. Da allora fino a dopo l’arrivo di Garibaldi, l’ordine pubblico venne diretto ed esercitato, a Napoli, esclusivamente dai camorristi.
In realtà gli affiliati alla setta, per decidere sulla proposta del ministro di polizia, si riunirono in un’assemblea che fu movimentatissima: si pronunciarono immediatamente favorevoli i camorristi di rione Montecalvario e Pignasecca, mentre quelli di Santa Lucia furono molto più titubanti.
Infine la Bella Società Riformata, una volta accettata la proposta di Liborio Romano, deliberò che, anche nei ranghi della polizia, il grado più alto dovesse essere conferito a Tore ‘e Criscienzo.
L’eroe dei due mondi entrò in Napoli all’una del pomeriggio del 7 settembre, e furono proprio i camorristi a badare, durante quei drammatici momenti, al mantenimento dell’ordine pubblico.
In testa al corteo che seguiva la carrozza di Garibaldi, si erano messi i camorristi Jossa, Capuano, Mele, lo stesso «Tore ‘e Criscienzo» nonché la tavernaia Marianna De Crescenzo detta La Sangiovannara, perché era nata nel rione di San Giovanni a Teduccio, sulla strada per Portici.
Dei quattro personaggi, il più importante era lei.
Secondo gli storiografi, Marianna aveva fama di esser camorrista e come tale si comportava, contraddicendo una regola e una tradizione che negava alle donne la possibilità di appartenere alla Bella Società Riformata.
Figlia di un fruttivendolo, giovane vedova di un soldato borbonico, aveva messo su nel quartiere Pignasecca una taverna, diventata ben presto il covo della criminalità e del malaffare. Rimasta vedova, giovanissima, di un soldato borbonico, si risposa con un giovane al quale affida la responsabilità dell’osteria. Animatrice del suo popoloso quartiere, Marianna, appena trentenne, non esita ad imbracciare il fucile e salire sulle barricate, esercita sulla folla un’influenza decisiva quando il popolo insorge per cacciare i governanti borbonici. Popolana carismatica, questa donna impersona allo stesso tempo il dramma e la speranza della sua gente: incita alla lotta, attira intorno a sé, con parole e azione, la gente del quartiere, distribuisce soccorsi, spiega la situazione, risolve dubbi. Diventa, in breve, la popolana più famosa delle borgate napoletane, capitanando le dame nelle manifestazioni di giubilo del 1861. Il popolo la porta in trionfo e l’acclama.
Di lei, il giornale parigino l’Illustration scrive: «Marianna ha una grande nobiltà di fisionomia. Passa dal voluttuoso languore della pigra napoletana, alla cupa energia del cospiratore. Alterna il sorriso della giovane al ringhio del lupo affamato».
Più tardi, per i servigi resi alla causa, Garibaldi le conferirà un vitalizio mensile di 12 ducati al mese ed il diritto a partecipare alle imminenti consultazioni elettorali. Sarà lei, dunque, la prima souffragette del nascente Regno d’Italia
Dopo questi avvenimenti nulla più si è saputo di lei, ma ne è rimasto il ricordo e la leggenda.
La sua effige, realizzata dal celebre pittore Saverio Altamura, è l’unica testimonianza certa del suo volto.