Il 3 maggio 2014, era un giorno uguale ad oggi.
Anche stasera, proprio come un anno fa, il Napoli scenderà in campo per giocare una partita. Un anno fa, si trattava di una finale e anche io, come tanti ragazzi animati dalla mia stessa passione faranno stasera e fecero quel giorno, partii per raggiungere Roma, mentre domavo l’emozione e scaldavo la voce intonando qualche coro da stadio e i miei occhi cullavano il desiderio di vedere capitan Hamsik alzare la Coppa Italia verso il cielo e non aspettavo altro che sentire il mio cuore esplodere di gioia, insieme a tutti gli altri cuori azzurri, innamorati come me.
Il 3 maggio 2014, per me, invece, adesso so che non è stato un giorno qualunque. Non lo è stato e non lo sarà mai. Mai più.
È stato il giorno in cui ho incontrato la morte per mano di un “chiattone” che mi ha sparato. Quel giorno, stavo andando allo stadio, invece, mi sono ritrovato nell’inferno.
Da quel giorno, tutti sapete chi sono, tutti avete appreso la mia storia e forse avete anche aggiunto il mio nome alle vostre preghiere: sono un tifoso come tanti, innamorato del mio Napoli e mi chiamo Ciro Esposito. Sono un ragazzo di 30 anni che lavorava in un autolavaggio di Scampia, il quartiere dove sono nato e vissuto, ma dove non mi è stato concesso di morire.
Da quel giorno di un anno fa, vi capita più o meno spesso di pensare a me, quando alla tv riportano qualche novità in merito alle indagini e al processo che dovranno assicurare giustizia alla mia morte o quando vedete il volto di mia madre, con gli occhi sempre avvolti in un triste velo di lacrime, ma con il cuore vivo di quell’amore che tanto racconta di me e che eternamente ci terrà legati. Forte, assai. Per sempre.
Da quel giorno di un anno fa, ho smesso di essere un ragazzo qualunque per diventare “uno di voi”. Perché nella vita di ognuno di voi, esiste un pezzo di quella “vita semplice e normale” che mi è stata sottratta per amore della squadra di cui, anche ora, da quassù, continuo ad essere sempre più innamorato.
Non tutti sanno che, quel giorno, “sono morto per la prima volta”.
Già, quando sono arrivato all’ospedale, Dio ha consegnato nelle mani dei medici del Gemelli il miracolo che mi ha fatto risuscitare. A me, alla mia famiglia, sono stati regalati 52 giorni. Ma, alla fine, sono morto di nuovo. E questa volta davvero e per sempre.
Durante quei 52 giorni di sofferenza e speranza, io e la mia famiglia e voi con noi, perché già ero “uno di voi”, ci abbiamo creduto che potevo tornare a casa, alla mia vita di sempre, anche se niente sarebbe stato più come prima, perché sarei finito su una sedia a rotelle. Non sentivo più le gambe, non le sentivo proprio, ma, almeno, sarei stato ancora vivo. Vivo tra le persone che amo e non solo vivo nel cuore di chi mi ama.
“Ciro Vive”: già, questo resta di me, oggi, a distanza di un anno. Sono un’associazione, un libro, tanti murales, tante, tantissime maglie sulle quali è scolpita la mia faccia, in azzurro, il colore del mio cuore e nel mio nome e nel mio ricordo vedo fiorire tanti sorrisi, solidarietà ed amore, soprattutto tanto amore, in molte città, in un sacco di cuori. E per questo “miracolo” devo ringraziare mia madre, l’amore immenso della mia vita che sta dimostrando a tutti che l’amore è il motore che guida l’umanità verso un mondo migliore e che è un sentimento potente, anche più delle pistole, perché quell’amore non è stato scalfito dal proiettile che mi ha perforato la vita. Quell’amore è più forte anche del dolore devastante che le leggo nel cuore tutte le sere, quando le vado a dare il bacio della buonanotte e che ritrovo ancora lì, accanto a lei, quando vado a svegliarla al mattino.
A voi posso chiederlo, dato che sono “uno di voi”: tutte le volte che potete, date alla mia “nanetta” gli abbracci che sono stati sottratti alle mie braccia, stringetela forte da parte mia. E quando “gli amici di quel chiattone” le mancano di rispetto, stringetela più forte, perché, anche se non lo ammette, in quei momenti ne ha più bisogno.
È trascorso un anno da quel giorno, ma non è cambiato niente. Di gente che continua a fare a botte, in nome di una passione sportiva, continuo a vederne ancora.
Solo per me è cambiato tutto. Ed è giusto ricordarlo. Oggi.
Il 3 maggio 2014, era un giorno uguale ad oggi.
Anche stasera, proprio come un anno fa, il Napoli scenderà in campo per giocare una partita. Anche stasera sarò lì, in mezzo a voi, ad occupare il mio posto sulla gradinata del paradiso e tiferò insieme a voi, perché sono “uno di voi”.
Però, oggi, a ciascuno di voi, mentre indosserà la sciarpa per andare allo stadio, quando saluterà la mamma prima di chiudersi la porta di casa alle spalle, mentre insieme agli amici discuterà sulla formazione o sul percorso più intelligente da effettuare per raggiungere lo stadio, a ciascuno di voi chiedo di fermarsi un attimo per dedicarmi un pensiero.
Perché, quel proiettile, un anno fa, esattamente un anno fa, ha beccato me, ma poteva essere “uno di voi”… “Uno di noi”…