Qual è il momento più bello della tua vita? Quello in cui hai sentito che si realizzavano tutti tuoi sogni? Quello in cui ti sei sentita una principessa? “A’ cummunion’!”.
Esordisce così la piccola interrogata dalla maestra all’indomani del grande giorno. Lì, in piedi, davanti a tutta la classe. La domanda accende un’aurea magica intorno alla piccola protagonista. Una luce di gioia la irradia ed un sorriso, lungo quanto basta per far intravedere le tonsille, le sale su per le guance. Gli occhi sono fari abbaglianti nella notte, le ciglia sfarfallano come piume di pavone. I capelli che, ancora incastrati nei 71 fermaglini (calcolo basato su dato reale) dell’acconciatura festiva, iniziano a dare i primi segni di cedimento, tentando di sfuggire alla morsa mentre altri gridano “aiuto” soffocati da molteplici strati di lacca cristallizzata.
Ma la prescelta soffre in silenzio e si lascia trasportare dall’euforia del ricordo. L’eccitazione del racconto se ne impossessa sollevandola dal pavimento, mentre volge aristocratica lo sguarda alle amiche di classe.
E racconta: “Il giorno della communione non ci stava tempo per fare tutte le fotografie. Allora il fotografo e il compagno suo hanno detto a mia mamma che doveva prendere il vestito quindici giorni prima dalla signora per farmi l’anteprima!”
Il preludio al debutto in società, preparato nei minimi particolari, mesi e mesi e mesi prima è ancor più dolce dell’evento stesso.
“Perché l’anteprima deve essere tale e quale alla “communione”, cioè mi dovevo vestire con il vestito della communione. Pure i capelli e l’acconciatura, e sinanco il trucco. Allora la parrucchiera e l’estetista sono venute a casa alle sei di mattina. Poi mi sono messa il vestito! Era un modello esclusivo, che tengo solo io, pecche stava nella collezione che ancora doveva uscire. Tiene fatto un top con lo scollo all’americana tutto pizzo francese. La gonna, invece, è fatta con le aggrappature e da sotto a queste esce il pizzo come quello del top. Poi dietro tiene una cova lunga lunga con il pizzo che esce fuori e un muchetto di fiori, tutti fucsia, come il tema del ristorante, proprio sopra. Tenevo pure il velo come le spose, i guanti fatti a reta, con la borzetta, e l’ombrellino.“
Una descrizione entusiasta che si carica di emozione ad ogni parola, ad ogni respiro, ad ogni dettaglio. Il luccichio del pizzo si palesa nelle menti delle compagne di scuola, trascinate in un vortice di estasi che ha il retrogusto amaro dell’invidia fanciullesca.
Trucco, parrucco, vestito e la principessa può entrare in palcoscenico.
“A me mi piace assai il mare e questa cosa mio padre la sa. Allora ci disse al fotografo che lui e il compagno suo ci dovevano portare là per fare l’anteprima. Ma per mezzo che era sabato e ci stava il traffico, allora non siamo andati al mare lontano, ma al Villaggio Coppola su un lido di un amico del fotografo. Mi sono fatta tutte le fotografie dove sta il lido, vicino al bar, vicino alle cabine e alle giostre. Poi mi sono fatta pure certe fotografie nella sabbia senza le scarpe. Ma a riva si bagna il vestito, allora il fotografo ha fatto prendere il pedalò dal bagnino e mi sono fatta le fotografie in mezzo all’acqua. Mamma stava tutta preoccupata e mi diceva di starmi accorta sennò s’ ‘nfunnev’ a’ vest’”!
Un resoconto dettagliato, interrotto solo dalla compagna di banco che con il suo “e po’? “ da il là all’atto conclusivo.
“Poi mi sono tolta il vestito, perché mammà ce lo doveva portare alla signora che lo deve stirare nata vot’. E siamo andati nello studio del fotografo per fare le fotografie con i panni normali che quelle fotografie ce le doveva mettere sull’invito per la comunione.”
E come un piccolo maghetto, “a’ cumpagna soja”, sfila dal diario l’invito. Un cartoncino rettangolare, una specie di pantone con tutti i toni del fucsia, con in primissimo piano una foto della principessa, in posa plastica; appoggiata alla solita scala, nel suo abbigliamento, rigorosamente fucsia che esibisce un paio di sgargianti leggins. Sulla testa un cappellino che tira da un lato con una mano, mentre l’altra tiene il fianco. Un’espressione di gioia contornata da una lunga e folta chioma “nera più nera che c’è”.
Alla vista dell’oggetto sconosciuto e desiderato, la curva rosa della classe, leva in alto il collo, come fenicotteri al tramonto. La gioia non si trattiene e l’ancella confessa “E! c’ stev’ pur’ j’ alla communion’!”