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Amy Winehouse e il documentario della discordia

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
1 Maggio, 2015
in News
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Amy Winehouse
è stata una di quelle personalità sempre capaci di far parlare di sè durante la sua breve vita e continua a smuovere gli animi anche a quasi quattro anni dalla sua morte, avvenuta il 23 luglio 2011.

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Il documentario sulla sua vita uscirà nelle sale cinematografiche inglesi il 3 luglio prossimo, ma è già oggetto di critiche asprissime e minacce di querele al regista e ai produttori da parte del padre della cantante.
Mitch Winehouse afferma: “Mi stavo sentendo male quando ho visto per la prima volta il film, la stessa Amy ora sarebbe furiosa. Questo non e’ quanto lei avrebbe voluto. Io vengo dipinto come un padre assente negli ultimi anni e il film dà l’impressione che la famiglia non ci fosse proprio. E’ un documentario squilibrato, ingannevole e non racconta la verità”.

Il regista Asif Kapadia, già apprezzato nell’ambiente per il suo documentario sulla vita del pilota brasiliano Ayrton Senna, si difende affermando di aver intervistato quasi 100 persone che conoscevano direttamente Amy e sostenendo che “Quando mi hanno proposto il film ho accettato con il pieno sostegno della famiglia Winehouse”.

Basandosi esclusivamente sui 90 secondi di trailer del film che è reperibile in rete, si capisce chiaramente il significato che il regista attribuisce al titolo completo del film Amy: the girl behind the name.
Ci sono innumerevoli spezzoni di interviste nelle quali Amy parla di sè e del suo modo di fare musica: “Non scrivo nulla che non abbia a che fare personalmente con me. Senza provarlo sulla mia pelle so che non lo racconterei nel modo giusto”.

La cantante viene mostrata durante scene quotidiane o durante prove e registrazioni private delle sue canzoni: è possibile vedere, agli occhi di chi vuole davvero guardare, chi c’è sotto il trucco pesante, i tatuaggi, le acconciature eccentriche e l’abbigliamento stravagante.

L’animo di Amy traspare particolarmente negli innumerevoli brani montati dal regista dove la cantante si esibisce solo con il supporto di voce e chitarra: in un’epoca come questa, dove in studio di registrazione grazie alle moderne tecnologie è possibile edulcorare anche i suoni e le voci facendole sembrare migliori di ciò che realmente sono, la voce inconfondibile e potente di Amy rapisce l’ascoltatore e fa capire realmente il motivo per cui questa ragazza in pochi anni di carriera abbia avuto un successo così grande.

Ciò che non si capirà mai, nè dal film nè dalla critica, è il motivo che ha spinto la cantante a consumarsi tra mix di droghe pesanti e alcol che ha portato al tragico epilogo che tutti conosciamo.
Di contro, l’ex marito Blake Fielder-Civil accusa il padre della cantante di essere stato la causa del profondo disagio psicologico della figlia, Mitch Winehouse, invece, rimprovera all’ex marito della figlia di non aver capito in tempo la situazione e di non averla aiutata.
Scambi di accuse che oggi, a quasi quattro anni dalla morte di Amy, lasciano apparire come profetiche le sue parole quando, agli esordi della sua carriera, dichiarò:” Non credo che diventerò famosa. Non penso che riuscirei a gestire il successo. Probabilmente impazzirei”.
Su una cosa si sbagliava Amy, sull’altra no.

Probabilmente, però, non è stato il successo a darle alla testa quanto il malessere che si portava dentro da molto tempo e sicuramente in tanti avranno provato ad aiutarla ma, come lei stessa canta in un suo pezzo, I can’t help you if you won’t help yourself (Io non posso aiutarti se tu per primo non vuoi aiutare te stesso).

Tags: amy winehouseasif kapadiadocufilmdocumentariojazz
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