“Come un gioco da bambini”. Questo il titolo del primo dei progetti in esposizione al museo MADRE – visitabile fino al 31 agosto – che, nel corso del 2015, saranno appositamente commissionati all’artista francese Daniel Buren per celebrare la relazione tra il museo e il suo pubblico, tra l’istituzione e la sua comunità.
“È una giornata memorabile per il MADRE” ha dichiarato nell’ambito della conferenza stampa il direttore del museo Andrea Viliani, il quale ha anche sottolineato che questa esposizione, in collaborazione con il Musée d’Art Moderne et Contemporain di Strasburgo, è la prima di una serie volte a radicare e consolidare un concetto ben preciso: in situ. Due parole che professano l’intenzione di consolidare la relazione tra arte e luogo della mostra, tra “il dentro” e il “fuori”, come a voler eludere le “barriere di cemento” e, con loro, anche quelle ideologiche, per rafforzare la complicità e il legame di continuità tra museo e comunità. L’arte diventa, quindi, un mezzo attraverso il quale proporre ed esibire l’ambientazione del museo all’interno del contesto che lo circonda e di cui è parte, fino a fondersi con il tutto, divenendone una componente, non avulsa e distaccata, ma integrante. Così come precisa Viliani: “Portare la città con i suoi archetipi architettonici all’interno del museo, proponendo una sorta di “architettura nell’architettura” che “si vede su strada”. – Aggiunge Viliani – A pochi giorni dall’Expo di Milano e dalla Biennale di Venezia, questa mostra colloca l’Italia al centro del mondo dell’arte contemporanea, sottolineando il ruolo di rilievo ricoperto da Napoli.”
Il primo intervento di Buren accoglie i visitatori nella grande sala al piano terra del museo, trasformandola in uno spazio ludico, vero e proprio gioco di costruzioni a grandezza reale, o un kindergarten (“giardino d’infanzia) a dimensione ambientale ottenuto grazie all’assemblaggio di un centinaio di moduli di forme geometriche e colori diversi ispirati ai solidi del pedagogo tedesco Friedrich Wilhelm August Fröbel: sfere, cubi, cilindri in legno che, esaltando le potenzialità conoscitive del gioco rispetto sl linguaggio, inducono il bambino alla scoperta partecipata e comunitaria della realtà e delle proprie capacità espressive stimolando facoltà quali percezione, esercizio tattile, costruzione e decostruzione.
“Sono 45 anni che lavoro a Napoli, la prima volta nel 1972 con Lucio Amelio, da allora ci sono ritornato più volte e resta la città che preferisco di più al mondo”. Dichiara Buren.
Villani lo definisce un “mastro di festa” d’eccellenza, l’artista francese, durante la conferenza stampa, in verità, lascia trasparire quella semplice ed umile umanità che tratteggia le sue Musée d’Art Moderne et Contemporain, Strasburgo e che tanto racconta della sua anima puramente artistica.
“Non sono qui per parlare, ma per guardare.” Esordisce così, sottolineando il viaggio introspettivo che le sue opere sono in grado di suggerire agli occhi che le percorrono.
“Come un gioco da bambini” è un’opera d’arte che rilancia la ricerca di quella semplicità rilevabile nei disegni dei bambini e suggerisce la complessità degli adulti nel ripercorrere quella medesima ed essenziale spontaneità, nei gesti, nei pensieri, nella vita.
La “semplicità” che diventa “complessa” e la complessità insita nel “ritorno alla semplicità”: questi i passaggi marcati dal breve, ma eloquente intervento di Buren.
In effetti, la sua opera, attraverso colori, cerchi, disegni invita ed esorta la fantasia a riprodurre un mondo, quello “a portata di bambino”, quello che ogni bambino può disegnare usando i colori e le forme della creatività. Si tratta della riproduzione di un’autentica città in miniatura che mette in relazione la città reale con la città immaginifica che si innalza dinanzi agli occhi: una sorta di città metafisica che si articola gradualmente al pari di una passeggiata nel colore che procede da un caleidoscopio cromatico iniziale al inno puro d che si può attraversare con l’occhio seguendo una ritmica e vertiginosa prospettiva.
L’opera – risultato della collaborazione fra l’artista e l’architetto Patrick Bouchain – si propone come un sottile dialogo con l’architettura, che diventa quasi viva, performativa: i visitatori hanno la possibilità di passeggiare all’interno di una città fatta di cerchi ipnotici (su cui appaiono le righe di 8,7 cm che sono il segno ricorrente e distintivo delle opere di Buren), archi colorati, torri cilindriche, basamenti quadrati, timpani triangolari, collocati simmetricamente fra loro quasi fossero parte dell’architettura stessa del museo, dotata di una sua ipotetica ed alternativa potenzialità fantastica e immaginativa.
“Tutti i bambini dai 4 ai 9 anni disegnano, colorano, creano opere magnifiche e all’apparenza semplici ma che nascondono una grande complessità – ha detto Buren – ecco per me l’arte deve essere così: semplice e immediata, appunto come un gioco di bambini”. L’artista francese, innamorato dell’isola di Procida, ha poi rivelato alla stampa un suo progetto nel cassetto, elaborato alcuni anni fa insieme ad altri colleghi, come Kounellis, sulla riqualificazione della periferia Ovest: le acciaierie dismesse di Bagnoli come grandi residenze per artisti, una spiaggia finalmente restituita alla città e un museo marittimo. “Purtroppo – ha detto Buren – non se n’è fatto nulla”.