Nato a Napoli nell’agosto del 1984, Luca Nocerino trascorre la sua infanzia nella bottega artistica del padre, dove a contatto con vecchi maestri d’arte, artisti, pittori, scultori, architetti ed altre figure del campo artistico inizia ad assaporare l’essenza ed il significato più profondo dell’arte.
Tale contesto ricco di creatività ,inventiva e segreti del mestiere contribuisce a sviluppare la sua dote artistica innata, ereditata dalle generazioni passate.
Deciso a proseguire il suo percorso in campo artistico nel 1998 si iscrive alla sezione Decorazione plastica dell’Istituto d’Arte “Filippo Palizzi” di Napoli., dove al termine degli studi svolti riceve il “Premio Palizzi 2003”, per essersi distinto per le sue capacità tecnico-artistiche manifestate nelle attività di sezione.
Nel corso degli anni scolastici il giovane artista respira un’atmosfera carica di stimoli e intuizioni, iniziando a prendere parte alle prime manifestazioni artistiche, esponendo le proprie opere in Italia e all’estero, in occasione di concorsi artistici, premi e mostre.
Si laurea in scultura con esito 110 e lode presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e in seguito, sempre presso la medesima istituzione, consegue la Laurea specialistica in scultura.
Durante i suoi anni di formazione didattica, al fine di rafforzare le sue conoscenze, collabora in molte occasioni con il laboratorio artistico di famiglia “Luc di Nocerino”, realizzando opere di propria invenzione concepite per la propria ricerca artistica o su commissione: modella e forgia in bronzo le sue sculture, imparando le tecniche e i procedimenti che caratterizzano il procedimento della fusione a cera persa, sperimentando innovativi sistemi e materiali, apprendendo l’uso di attrezzatura e utensileria varia dalla modellatura di una scultura, alla realizzazione in metallo e finitura. La contorta plasticità delle forme plasmate dall’artista è suggestiva ma soprattutto enigmatica ed evoca psichedeliche interpretazioni.
Fra i suoi grandi capolavori, la riproduzione in scala reale della celebre opera scultorea dei Giuseppe Sammartino, il Cristo velato della Cappella Sansevero, una copia unica come la stessa statua, visto che assolutamente non ne esistono altre.
Come s’inserisce nel tuo lavoro la ricreazione del Cristo velato?
Al di là di quello che è, ovvero una commissione, il mio Cristo c’è capitato in mezzo; l’ho realizzata nel 2008, quando sarebbe dovuto uscire il film Vitriol .
Sebbene sia un artista non-figurativo, mi sono cimentato con una plasticità di tipo accademico. Ed è stata una bella soddisfazione ricreare nonostante le mille difficoltà un’opera unica, reinventare quella velatura che fu certo abilità del Sammartino, ma che venne anche esaltata dalla qualità di quel magnifico marmo, dai segni del tempo…
All’epoca avevo circa 23 anni; ero un po’ titubante: un’opera troppo grande, un’impegno gravoso…
Francesco de Falco per convincermi ad intraprendere l’opera mi rassicurava che per il suo progetto cinematografico sarebbe bastata anche una riproduzione approssimativa, quasi un manichino, un oggetto scenografico da inquadrare senza primi piani.
Invece, quando ho cominciato a lavorarci, un po’ la mia natura perfezionista, un po’ mio padre col suo occhio critico – a volte sentivo di avere un supervisore cui dare conto più dello stesso committente e diventavo ansioso – mi spingevano a fare le cose al meglio. Mi svegliavo di notte, facevo sogni strani, ma pian piano la creazione trovava spazio dentro me, diventava sempre più grande, fino a raggiungere quel risultato che me l’ha fatta sentire mia. Una semplice copia si fa col calco: invece quell’opera l’avevo ricreata, con la mia propria cifra stilistica, la mia identità, perché l’opera è soltanto il medium attraverso il quale si esprime l’artista.
Ancora oggi conservo il mio Cristo velato con grande cura; vorrei collocarlo in un luogo adatto, ma in verità non riesco a staccarmi dalla mia creatura!
Come definiresti il tuo stile?
Durante il mio percorso di studi ho coltivato un mio stile, e, come succede a tutti gli artisti, man mano è evoluto, pur mantenendo sempre la stessa linea. All’inizio la mia linea era figurativa, poi col tempo l’ho sintetizzata fino alle ultime opere. Poi, dalle sculture sono passato ai gioielli, che sono ancora più sintetici. Praticamente sculture da indossare.
Parlaci della tua linea di gioielli.
Intrecci, realizzati con la tecnica della microfusione tipica dell’oreficeria. Gli oggetti sono in argento e in bronzo, lucentissimi, trattati perché questa lucentezza a specchio rimanga inalterata nel tempo. Uso le pietre pochissime volte, perché quello che mi interessa è soprattutto la forma, l’intreccio tra spigoli appuntiti, tanto che spesso diventano difficili da indossare, magari lacererebbero gli abiti: sono più che altro da esposizione, li considero così. Linea che in effetti riproduce quella delle mie sculture.
( da intervista del 2013 )