«[…] Da questa bocca dell’abisso, dice la lugubre leggenda, uscendo dal vasto mare, appariva un tempo, l’immondo rettile, che ha dato il suo nome a quella fossa. ( Storia dei Borbone di Napoli – libro IV, capitolo 7 – Alexandre Dumas )
Napoli viene considerata da sempre, la capitale delle storie e delle leggende e non a torto.
Tra le storie che si narrano a Napoli, colpisce quella del coccodrillo che infestava i sotterranei del Maschio Angioino.
Sembrerebbe una storia assurda, eppure essa è anche, incredibilmente, una delle più verosimili. Qualche anno fa, infatti, a seguito di alcuni scavi per la nuova metropolitana di Piazza Municipio, è stato trovato persino il presunto scheletro dell’animale.
Si dice fosse arrivato in città seguendo una nave proveniente dall’Egitto, o addirittura aggrappandosi con gli artigli allo scafo dell’imbarcazione. Non è certa la data in cui questo grosso rettile si stabilì a Napoli, ma si racconta che scelse come sua dimora le carceri dell’antico Maschio Angioino (il “Castel Nuovo” che Carlo d’Angiò aveva fatto costruire a partire dal 1279 come nuova sede della corte napoletana), sopravvivendo nutrendosi quasi quotidianamente degli sfortunati prigionieri.
Castel Nuovo possiede delle segrete sotterranee adibite a prigioni, in particolare due locali: uno noto con il nome di prigione della congiura dei baroni, l’altro fossa del miglio.
Il primo traeva il nome dall’utilizzo che se ne faceva, infatti una profonda buca nella quale venivano conservati i sacchi di grano, solo in seguito vi furono rinchiusi i prigionieri che meritavano pene severe.
Fu allora che la fossa prese il nome di fossa del coccodrillo. La leggenda narra che, il coccodrillo in questione, si intrufolasse furtivamente dal mare attraverso una stretta apertura che gli permetteva di accedere inosservato ai sotterranei del maniero e afferrare la preda per trascinarla in acqua, immergendosi nuovamente in mare. L’orrendo mostro fu scoperto dalle guardie del castello proprio in seguito a un’indagine che i carcerieri svolsero sui misteriosi “rapimenti” dei prigionieri, che continuavano a sparire nonostante fosse impossibile, per le caratteristiche architettoniche del luogo, tentare un’evasione o una fuga. Sebbene il mistero fosse stato svelato, le guardie continuarono a servirsi del coccodrillo per sbarazzarsi dei nemici più scomodi della corte, su richiesta stessa dei sovrani.
Due su tutti, a quanto si racconta, si servirono abbondantemente del famelico coccodrillo: Ferrante d’Aragona e Giovanna II d’Angiò.
Il primo fece divorare dal mostro i baroni che avevano congiurato contro di lui, la seconda, invece, si dice gettasse nella “fossa del coccodrillo” i suoi molti amanti dopo aver goduto dei loro servigi.
Giovanna II d’Angiò, era ultima discendente del casato angioino. La voce popolare trasformò la bella e seducente nobildonna in una figura misteriosa, straordinariamente affascinante per la sua folle crudeltà. Molti uomini, personaggi illustri e ambiziosi, o semplicemente popolani di bell’aspetto, ebbero l’onore di scivolare nelle sue grazie, trascorrendo folli notti d’amore. La tradizione popolare la tramandò come una sorta di mangia-uomini e, secondo tali racconti, fu letteralmente così. Pare, infatti, che gli amanti, una volta portati a compimento i suoi desideri, sparissero misteriosamente. Il trucco? Una botola segreta all’interno di Castel Nuovo, direttamente collegata con il rifugio del rettile, il quale aveva l’arduo compito di mantenere intatta la reputazione della sovrana. La famigerata cella del coccodrillo ha alimentato nei secoli la storia del castello.
Nonostante la leggenda del coccodrillo napoletano resti tale, ci sono alcune ipotesi che potrebbero accreditarne la veridicità. Il rettile, infatti, potrebbe essere giunto in città non al seguito di una nave, ma a bordo di una di quelle tante imbarcazioni che, per secoli, portarono dall’Egitto animali e oggetti esotici per divertire le corti europee. La leggenda stessa, inoltre, indica approssimativamente il suo arrivo a Napoli nel XV secolo. Non è impossibile, dunque, potendo un coccodrillo raggiungere anche i 100 anni di età, che l’animale, nell’arco della sua vita, abbia “prestato servizio” sia sotto la regina angioina (1414-1435) che sotto il re aragonese (1458-1494).
Si dice che fu proprio il re aragonese Ferrante, a disfarsi del rettile tramite un trabocchetto: il coccodrillo fu pescato attraverso un’ancora e una coscia di cavallo, secondo alcuni avvelenata, e, una volta ucciso, fu imbalsamato e posto all’entrata di Castel Nuovo. Molte stampe dell’Ottocento raffigurano, infatti, il Maschio Angioino con la carcassa di un grosso animale appesa all’ingresso della fortezza.
Che sia proprio il coccodrillo della leggenda?
La bestia imbalsamata è oggi scomparsa, ma la questione del coccodrillo napoletano sembrò risolta definitivamente nel 2004, quando, scavando per la nuova linea della metropolitana, erano stati trovati i resti dello scheletro di un grosso animale.
Si trattava, in verità, di un cetaceo, forse un grande delfino, ma la leggenda del coccodrillo tornò in auge, trovando anche tra gli scienziati molti sostenitori. Per alcuni di loro, si trattava della prova decisiva della autenticità del racconto.