Se c’è stato qualcuno che con le parole ”ci sapeva fare“, questi era, senza ombra di dubbio Riccardo Pazzaglia (Napoli 12 settembre 1926 – Roma, 4 ottobre 2006).
Morto a Roma alla veneranda età di 80 anni, se ne è andato in silenzio da vecchio signore napoletano quale era, così come aveva vissuto.
Nato e cresciuto a Napoli nel quartiere Sanità, nel 1952 si diploma in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, avendo come docenti Alessandro Blasetti, Vittorio de Sica, Roberto Rossellini.
Da quell’anno, comincia un’intensa attività di documentarista e sceneggiatore (firma fra l’altro il soggetto del film del 1957 Lazzarella). Il suo film di esordio, L’onorata società(1960), è una dissacrazione della mafia.
Scrittore, attore, regista e conduttore radiofonico, probabilmente, sarebbe rimasto sempre dietro le quinte del palcoscenico se non fosse stato per Quelli della notte, trasmissione televisiva che lo catapultò in una improvvisa e inaspettata notorietà.
Il programma firmato da Renzo Arbore per la Rai del 1985, divenne subito un cult cambiando per sempre il rapporto tra l’elettrodomestico più diffuso e i telespettatori. Lui, in quel calderone colorato, chiassoso e decisamente surreale, divenne personaggio proprio per quel suo modo elegante e sommesso di porgere le battute che, non a caso, entrarono fulminee nel gergo degli italiani. Aveva il compito di “alzare il livello della trasmissione”, ovvero di riportare – o fingere di farlo, che era lo stesso – la banda volutamente scalcinata messa insieme da Arbore all’altezza di una tv dalle aspirazioni colte.
Un compito surreale – almeno quanto il programma – che svolgeva in modo adorabile, quasi in silenzio, riuscendo a imporre il proprio nonsense sul caos generale, senza alzare mai la voce. Lo aiutava sicuramente il fisico rotondetto e l’occhiale di chi aveva studiato. Ma anche quell’aria da “vecchio signore” assolutamente fuori registro rispetto al resto dello spettacolo. Non a caso, il suo, era il ruolo del filosofo che a notte fonda si interroga sul senso della vita, sul chi siamo e da dove veniamo tentando di confutare con caparbietà la teoria del “brodo primordiale“.
Abita qualcuno nelle galassie attorno alla nostra e al di là dei “gas oscuri”, dove comincia quello che gli antichi chiamavano “l’immaginabile”?
Quando la sera i televisori dei vicini sono aperti a tutto volume e i dispositivi antifurto si scatenano a intervalli di pochi minuti, allora mi consola questo pensiero: speriamo di essere soli «almeno» nell’Universo, perché siamo già troppi sulla Terra, possiamo bastare noi per tutto il Creato. Ma se continuiamo così, dove andremo a finire? Le paure escatologiche mi hanno tolto il sonno fin da ragazzo, e la colpa è anche della “Domenica del Corriere”. Leggevo che una meteorite, appena scoperta dagli scienziati, si stava avvicinando alla Terra non so a quale velocità e che fra cinquemila anni sarebbe venuta in collisione con il nostro pianeta. E io a preoccuparmi, povero figlio, per questa catastrofe futura.
Un’altra domenica, la “Domenica del Corriere” annunciava che, sempre gli stessi scienziati della domenica prima, avevano scoperto che il calore del Sole diminuisce non so di quanto ogni tremila anni. E io pensavo: come faranno gli abitanti della Terra a riscaldarsi, fra un milione di anni? E mi meravigliavo che gli altri non se ne dessero pensiero.
Allora andavo a chiederlo in giro, e di solito tutti rispondevano che non gliene fregava niente.
“Ma non siete anche voi abitanti della Terra?” dicevo. Molti rispondevano di no e continuavano a giocare a carte…..
Arbore stesso, lo ricorda come un grande uomo di idee, mai banale, che cercava sempre il diverso: basti pensare che le sue simpatie politiche andavano ai Borboni. Era l’antesignano di un umorismo raffinato, leggero e pulito.
Con la sua ironica filosofia, tutta partenopea, era solito raccontare una Napoli da vivere intensamente e in ogni sfumatura, che con i suoi pregi e i suoi difetti, diventava nella quotidianità, un teatro vero e proprio, i cui attori, senza copione e preparazione alcuna, erano gli stessi napoletani.
Come dimenticare la famosa scena del Cavalluccio Rosso , nel film Così parlò Bellavista di Luciano De Crescenzo.
Tra i motivi di stima nei suoi confronti, Riccardo Pazzaglia viene ricordato soprattutto, per il suo essere un grande autore di canzoni e testi melodici memorabili. In particolare fu autore di Domenico Modugno, con il quale aveva una grande intesa e una sincera amicizia durata oltre 40 anni. Scrisse brani come Sole, sole, sole – Lazzarella – Io, mammata e tu – Meraviglioso.