L’alta moda è “almeno una volta nella vita, vorrei indossare uno di quegli abiti”.
Un sogno che contorna l’emisfero della fiabesca, eppur terrena, realtà.
Il sogno che colora di fantasia ed entusiasmo l’ordinaria consuetudine che accompagna il susseguirsi delle lancette.
Perché ogni donna ama tutto ciò che ben si presta a calzare la definizione di “bello” concorrendo a conferirle l’accezione di senso più esaustiva e disarmante, quella più confacente, quindi, allo status di “donna”.
Gianni Molaro possiede l’incomparabile peculiarità di consegnare alla donna e alla femminilità l’entità più elevata, ogni volta, tutte le volte che il suo geniale talento scalfisce su un foglio i toni da imprimere ad un sogno da tramutare in un abito, quindi in realtà.
Un cacciatore di brividi, energie, percezioni, vergini ed inconsuete, da modellare in strascichi e spacchi e che si serve dei suoi abiti per sviscerare, attraverso l’alta moda, una sensibile forma d’arte, dove le linee si tramutano in movimenti, aggraziati e sensuali, i tessuti trasudano femminilità, i colori disegnano scenari che prendono per mano gli occhi e li conducono verso proiezioni emotive ben più suggestive, dove nulla è impossibile e la grazia si perde nell’infinità della bellezza. Quella alla quale tutte le donne auspicano e che attraverso la scia di pathos imbastita da Molaro, indossa l’abito più sublime.
Il bianco non è una monca dimensione monovolume, bensì una costellazione di sfumature proiettate verso l’infinito. Proprio come quel bianco che tinge le nuvole coronando quel sodalizio perfetto che, immutato, perdura da millenni e che le incastona nell’immensità del mantello azzurro che le abbraccia. Senza invaderne l’intimità, piuttosto proteggendole, con sommessa premura.
Il nero è tutt’altro che buio. Sfrontato, sagace, accattivante, ammaliante, lussureggiante, sa scoprirsi perfino capace di sfidare ed emulare l’iridescenza dell’oro. Abile, altresì, ad accogliere le fluttuazioni più mutevoli, senza mai svilire la sensuale essenza insita nella sua anima, ribelle e provocante.
Il bianco può suscitare sensualità, il nero purezza. Gli abiti di Molaro eludono il bigottismo insito negli stereotipi, agnostici e qualunquisti, eludendo le regole per non porre limiti al desiderio di condurre la bellezza femminile verso il più compiuto e disarmante emblema. Abiti che non seguono la logica delle regole, perché animati dalle emozioni che pulsano in un cuore. Un cuore che racchiude un mondo, popolato da una sensibilità paragonabile a tessuti pregiati, impreziositi da fiabeschi e strabilianti ricami d’argento e cristalli, costellati da un talento unico.
In ogni abito di Gianni Molaro respira un’emozione che personifica un labile, ma nitido spiraglio dal quale è possibile scorgere quel mondo.
“Molaro intende la moda come un cavallo di Troia per affermare l’artista che è in lui. Attraverso i vestiti passa una visione fatta di ansie e vanità, in un desiderio incessante di contagiare gli uomini con la bellezza, rendendo eccezionale la quotidianità. E’ ancora una volta, un sogno decadente, come fu quello dei preraffaelliti o di William Morris, ma non per questo Molaro rinuncia alla sua occasione, preparandosi alla sconfitta, in un mondo dominato dalla volgarità e dal brutto. Per quanto sta in lui, Molaro non ammette imperfezioni, non ammette errori. Non vuole lasciare il mondo come l’ha trovato . Vuole in tutti i modi, renderlo più curioso e più bello”.
Queste le pennellate di parole delle quali Vittorio Sgarbi si avvale per raccontare il ritratto dell’anima di Gianni Molaro: un gigante buono che gelosamente custodisce la pozione magica, necessaria ed indispensabile, per imprimere un elegante velo di magia lungo le passerelle dell’alta moda.