Una mattina, siccome uno di noi era senza nero, si servì del blu. Era nato l’Impressionismo.
La data di nascita ufficiale del movimento è 15 aprile 1874 quando un gruppo di giovani artisti, le cui opere erano state rifiutate dai Salons ufficiali parigini, decisero di aggregarsi per realizzare una mostra parallela presso lo studio del fotografo Felix Nadar.
Gaspard-Felix Tournachon, meglio conosciuto allora e oggi come Nadar si era appena trasferito al n. 31 di Rue d’Anjou, lasciando il suo studio a Gustave le Grav, un altro fotografo. Non essendosi questi ancora insediato, Nadar offrì al gruppo i vecchi locali al primo piano di un edificio al n. 35 del Boulevard des Capucines, sopra alcuni negozi. Vi si accedeva da un’ampia scala che dava direttamente sulla strada. La facciata era interamente dipinta di rosso e le stanze, spaziose e ben illuminate, erano rivestite di una tappezzeria bruno-rossiccia che valorizzava al massimo la maggior parte dei quadri.La disposizione dei quadri rappresentava naturalmente un problema. Pissarro, secondo la sua abitudine, aveva costituito un apposito comitato che doveva approvare la sistemazione di ciascuna opera. Ma, essendo la natura umana insofferente anche dei programmi meglio organizzati, la cosa finì per essere affidata a Renoir. Suo fratello Edmond curò il catalogo, che fu messo in vendita a 50 centesimi, mentre il biglietto d’ingresso costava un franco. Ogni pittore pagava 60 franchi per esporre due quadri: ma anche questa regola, come le altre, non fu rispettata e ognuno espose quante opere voleva.
Il gruppo di artisti che partecipò alla mostra, aveva fondato la Société Anonyme des Artistes il cui scopo era esporre al di fuori dei canali ufficiali, sviluppando dei temi specifici:
– rifiuto dell’arte accademica e delle regole compositive tradizionali;
– rifiuto dell’obbedienza alla forma e al disegno;
– predilezione per la pittura en plein air e disinteresse per i soggetti non paesaggistici;
– attenzione per la luce.
La luce, infatti, è un elemento fondamentale per gli Impressionisti (il termine fu coniato dal giornalista Louis Leroy in una critica negativa all’opera di Monet, Impression, soleil levant del 1872).
“Impressione, ne ero sicuro, poi mi dicevo, visto che sono impressionato, deve esserci dell’impressione… e che libertà, che facilità nella resa! La tappezzeria allo stato embrionale è ancor più finita di quella marina!”
La rivoluzione portata avanti da questo gruppo è profondamente legata alla tecnica di realizzazione. L’intento è quello di rappresentare l’attimo, il momento, e la luce è l’elemento che maggiormente definisce il tempo nel corso della giornata. C’è la volontà di rappresentare la realtà sensibile attraverso i fenomeni ottici.
Possiamo distinguere due correnti stilistiche, la prima, il cui maggior esponente è sicuramente Monet, propone sensazioni visive senza preoccuparsi della forma, gli oggetti sembrano infatti dissolversi nella luce; la seconda, propone delle forme definite attraverso luce e colore, inserite in uno spazio non necessariamente indagato prospetticamente.
Il movimento impressionista fu il primo a dare una svolta nella rappresentazione, il cambiamento è dovuto principalmente all’avvento di un nuovo mezzo che permetteva di ritrarre la realtà attraverso metodi molto più rapidi della rappresentazione pittorica: la fotografia. Gli artisti sentivano la necessità di rinnovarsi per poter competere con questo nuovo mezzo, e così come i primi fotografi cercarono di imitare la rappresentazione impressionista attraverso l’utilizzo del flou, anche gli artisti dovettero ripensare i loro metodi rappresentativi. L’immediatezza, la rappresentazione dell’attimo furono l’unica via possibile per competere, ma diversamente dal mezzo meccanico, si trattava di rappresentare le sensazioni, non il dato concreto.
La mostra, che comprendeva 163 opere, inclusi i disegni. gli acquerelli e i pastelli, si aprì il 15 aprile 1874, due settimane prima del Salon, in modo da non sembrare un altro Salon des Refusés. L’orario d’apertura era insolito: dalle 10 di mattina fino alle 18 e poi dalle 20 alle 22, probabilmente per consentire la visita a chi durante il giorno lavorava.
Monet espose cinque quadri, tra cui una veduta del Boulevard des Capucines dipinta l’anno precedente dal balcone della sede stessa della mostra e che raffigurava una qualche festa popolare.
“Soltanto, mi dica, che cosa rappresentano quelle innumerevoli linguette nere, là in basso?” – “Ma come”- risposi -“sono gente a passeggio”.
“Allora io assomiglierei a loro quando vado a spasso sul boulevard des Capucines?… Morte e maledizione! Ma lei mi sta prendendo in giro!”- “Le assicuro, signor Vincent…” – “Ma quelle macchie sono quelle degli imbianchini che dipingono finto marmo: pif paf, plic plac! Vai con Dio! È inaudito, è spaventoso!”
Dei 175 visitatori del primo giorno calarono ai 54 dell’ultimo; di sera le presenze erano tra le dieci e le venti, ma certi giorni non superarono le due. Su un arco di quattro settimane, 30.500 persone in tutto visitarono la mostra, molte delle quali motivate dalla curiosità più che dal desiderio di studiare seriamente le opere esposte.
Anni dopo, Zola doveva descrivere in un romanzo l’atmosfera di una mostra risonante degli sberleffi dei cercatori di curiosità: ” Le risate non erano più soffocate dai fazzoletti delle signore, e gli uomini dilatavano il ventre per poterle sfogare con più agio. Era l’ilarità contagiosa di una folla venuta per divertirsi, che a poco a poco si eccitava, esplodeva per nulla, si accalorava tanto per le cose belle che per quelle spregevoli… Si davano di gomito, si piegavano in due… ogni tela era oggetto di valutazione, la gente si chiamava per additarsene una buona, battute spiritose passavano di bocca in bocca… esprimendo la somma totale di asinità, commento assurdo, scherno cattivo e stupido che un’opera originale può estrarre dall’idiozia borghese “.
“Peccato, il pittore, che pure ha un certo gusto del colore, non disegni meglio: le gambe della ballerina sono inconsistenti come la garza del suo vestito”. ( Ballerina 1874 Renoir )
” La coscienza pubblica era indignata ” ricordò più tardi un critico. “Erano cose orrende, stupide, sporche; era pittura priva di senso comune“.
Di conseguenza molti dei cosiddetti critici seri rifiutarono di recensire la mostra. Se la citarono fu per deriderla.
“Dobbiamo parlare del signor Cézanne?” scrisse uno di loro. “Di tutte le giurie a noi note, nessuna si immaginò mai, nemmeno in sogno, la possibilità di accettare opere di questo pittore che soleva presentarsi al salon portandosi i quadri sulle spalle come Gesù con la croce. Un amore troppo esclusivo per il giallo ha finora compromesso il futuro di Cézanne”.
“Ahimè! Andate a vederla, quella. Una donna piegata in due, cui una negra toglie l’ultimo velo per offrirla in tutta la sua bruttezza agli occhi incantati di un fantoccio bruno. Vi ricordate dell’Olympia di Manet?
Ebbene, era un capolavoro di disegno, a paragone di quella di Cezanne.” ( Una moderna Olympia 1873/74 Paul Cèzanne )
Uno dei pochi, che difesero la mostra e i suoi artisti, fu Castagnary, che per avere ripetutamente espresso simpatia per le nuove ricerche e in particolare per lo studio serio della natura, si era guadagnato, nei circoli conservatori, la reputazione di spazzacamino per amore della sporcizia.
Castagnary salutò l’iniziativa dei pittori considerandola come un passo nella direzione giusta e di loro scrisse: “Qui c’è del talento, anzi molto talento. Questi giovani hanno un modo di capire la natura che non è noioso né banale. È vivo, acuto, leggero; è una delizia. Che fulminea comprensione dell’oggetto e che pennellata divertente! E sommaria, è vero, ma come sono giuste le allusioni! ”
“… L’assunto comune del gruppo è la loro forza collettiva in quest’epoca di dispersione, la volontà di non proporsi una esecuzione rifinita ma di fermarsi all’effetto generale. Una volta catturata l’impressione, la loro parte è fatta… Se li si vuole definire con una parola sola che ne comprendi la ricerca, bisogna accettare il nuovo termine di impressionisti.
Sono impressionisti nel senso che rendono non un paesaggio, ma la sensazione che un passaggio produce.”