Sono trascorsi 30 anni dalla strage di Pizzolungo (Trapani), e ancora oggi Margherita Asta, con la preziosissima collaborazione di Michela Gargiulo, torna sull’attentato che distrusse la sua famiglia, mediante il libro “Sola con te in un futuro aprile” (Fandango Libri).
“Scrivere questo libro, è stato doveroso nei confronti dei miei cari, mia madre e i miei fratelli. Per la loro memoria, perché dimenticare le vittime di mafia vuol dire ucciderle due volte. Al contempo, le pagine del mio libro, contengono un messaggio di speranza: la speranza che le cose possano cambiare, che sia possibile sconfiggere ‘le mafie’, e che il sacrificio di tutte le vittime non sia stato vano insomma.” Queste, le parole di Margherita, che nonostante tutte le vicissitudini, è pronta a raccontarsi.
A distanza di 30 anni, potremmo definire la Strage di Pizzolungo, ancora irrisolta. “Nessuna, tra le istituzioni – dice Margherita – ha saputo dare in questi anni una spiegazione concreta sulla motivazione reale che avrebbe spinto la Mafia verso l’uccisione di Carlo Palermo, approdato in Sicilia da soli 40 giorni.”
Era il 2 Aprile 1985, apparentemente una mattinata come tante, quando Barbara in macchina, sulla sua Volkswagen Scirocco, mentre i bambini giocano sul sedile posteriore, come di consueto, si dirige per accompagnarli a scuola.
Purtroppo c’è un’altra auto che quella mattina percorre lo stesso tragitto: è un Alfa 132 blindata che morde l’asfalto. A seguire una Fiat Ritmo che tira le marce per stargli dietro: i passeggeri stavolta, devono percorrere quella strada in fretta,per arrivare al Palazzo di Giustizia di Trapani il prima possibile . A bordo infatti c’è un quarantenne: si chiama Carlo Palermo, è campano ma viene da Trento, ed è arrivato in Sicilia da meno di 50 giorni per fare il suo lavoro, il magistrato.
In Sicilia, in quegli anni, specie nelle parti del trapanese, fare il magistrato può essere pericoloso. Due anni prima, infatti proprio a Valderice, il magistrato Giangiacomo Ciaccio Montalto era stato ammazzato davanti casa.
L’autista del giudice aspetta il momento giusto per iniziare il sorpasso; c’è un’altra auto ferma. Le tre auto, per un istante, si trovano perfettamente allineate. E proprio in quel preciso momento viene azionato il detonatore. L’utilitaria fa scudo all’auto del sostituto procuratore che si ritrova scaraventato fuori dalla macchina, in piedi, ferito ma miracolosamente vivo. Muoiono così dilaniati, la donna e i due figli. In alto, su di un muro, una macchia rossa di sangue, l’impronta terribile lasciata dal corpo di uno dei due bambini. In questo contesto, di questa tragica mattinata, Margherita ha soli 10 anni, e il caso ha voluto che andasse a scuola non in compagnia della mamma e i fratellini.
Ad aiutare Margherita nella ricostruzione del tragico evento, c’è Michela Gargiulo: “Ho conosciuto Margherita nel 2006, quando andai in Sicilia per ritirate un premio giornalistico, li incontrai diverse vittime di mafia, tra cui appunto Margherita. Sono stata letteralmente rapita dalla sua storia,in parte per le circostanze,ricordando che Margherita era solo una bambina di 10 anni, ma soprattutto perché lei non faceva parte del contesto mafioso, dunque poteva capitare ad ognuno di noi vivere una tragedia come quella relativa alla strage di Pizzolungo. Il libro è nato proprio grazie al nostro incontro, grazie all’affetto che ci lega, all’amicizia che si è venuta a creare tra noi”. Racconta Michela.
“Quando Carlo Palermo arrivò a Trapani, stava interessandosi ai traffici di droga, intrecciando indagini iniziate a Trento, riaprendo anche i fascicoli del giudice ucciso nel 1983,Montalto. La mafia temeva tantissimo Palermo, perché con le sue precedenti indagini aveva sventrato traffici molto importanti, ovvero quelli relativi alle armi, riuscendo a bloccare il flusso proveniente dalla Turchia. Un altro dato rilevante riguarda la raffineria di Alcamo, una delle più importanti a livello europeo probabilmente, la mafia temeva infatti che Palermo potesse interessarsi a quest’ultima.“ – Spiega Michela, continuando – Quindi c’è un doppio movente addebitabile al tentato omicidio del magistrato Palermo: quello territoriale legato appunto alla possibile scoperta della raffineria di Alcamo, e un altro, venuto fuori successivamente, ovvero che l’attentato rappresentava un messaggio di intimidazione nei confronti di tutti gli altri magistrati. Da qui si evincerà la ‘spettacolarizzazione’ mafiosa, che si preoccupa non solo di eliminare fisicamente i probabili ostacoli, ma lo fa provocando vere e proprie stragi indimenticabili.”
I processi sulla strage di Pizzolungo sono numerosi: in un primo processo che riguarda gli esecutori materiali nel 1988, verranno tutti condannati in 1 grado, successivamente assolti in appello nel 90, e definitivamente assolti nel 91. Anno in cui, saranno definitivamente dichiarati ‘non colpevoli’ per la strage. Nel 2002 ecco un nuovo processo che vede altri imputati, si aprono nuove indagini grazie alla collaborazione di alcuni pentiti, che indicano proprio i condannati in primo grado nell’88, adesso legalmente non più imputabili per quella vicenda. Al contempo verrà fuori, sempre grazie ai collaboratori di giustizia, anche uno dei mandanti dell’attentato. Totò Riina.
Le sentenze che hanno condannato i mandanti Totò Riina e Vincenzo Virga, il capo della cupola siciliana e il boss capo mafia del mandamento di Trapani, e come esecutori Nino Madonia e Balduccio Di Maggio, non hanno fatto comunque luce sul movente.
Lo stesso vale per altri delitti e altre stragi: quello del pubblico ministero trapanese Gian Giacomo Ciaccio Montalto, sino ad arrivare agli efferati e sanguinosi attentati di Roma, Milano e Firenze del 1993.
A 30 anni da quell’attentato, destinato al sostituto procuratore Carlo Palermo e che costò la vita di Barbara Rizzo e dei sui due figlioletti di sei anni, c’è chi fa in modo di non dimenticare, e continua imperterrita la ricerca della verità.
Margherita e la sua famiglia con la mafia non c’entravano niente, anche per questo la percezione stessa della mafia, come vera e propria organizzazione volta alla conquista del potere utilizzando ogni mezzo, è cambiata improvvisamente per quella bambina di soli 10 anni: “Non immaginavo all’epoca dei fatti, che la mafia potesse essere così forte e decidere le sorti della vita di chiunque, o addirittura decidere la sorte del Paese, non pensavo che potesse condizionare anche la vita di chi non c’entrava nulla, come la mia.”
Margherita, ha ricostruito il suo progressivo e doloroso avvicinamento alla verità di questo doppio dramma, omaggiando al contempo il co-protgonista Carlo Palermo: non più odiato ma, al contrario, celebrato come l’acuto investigatore che fin dalle sue prime indagini trentine aveva intuito i legami fra criminalità e politica
Come sostiene Michela Gargiulo, “Margherita ha compiuto un atto di grande coraggio mediante il suo libro. Elaborando, e superando quindi, in qualche modo il dolore che lega i protagonisti di questa triste storia con lei”. Margherita continua a mettersi in gioco,lo fa lottando contro le mafie impegnata con l’Associazione Libera, e lo fa anche mediante la divulgazione del suo libro, perché non vengano mai dimenticate le vittime di mafia.
«Sono passati trent’anni dal 2 aprile 1985. E in tutto questo tempo ho aspettato di incontrarti ancora. Di ritrovarti in un futuro aprile, e camminare accanto mano nella mano. Ho visto morire pezzi di verità uno dopo l’altro, uccisi con un tempismo perfetto prima che si ricongiungessero. Forse basterebbe mettere insieme tutte quelle morti, nel loro ordine naturale, per avere davanti quel “capolavoro di verità scritto con il sangue”». Margherita Asta