Il prossimo giovedì, 2 aprile, è atteso il ritorno in Italia di Bruno Humberto Damiani, detto il “brasiliano”, attualmente unico indagato per l’assassinio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo e sul cui capo pende l’accusa di omicidio volontario aggravato dal metodo mafioso.
Così come auspicato da tempo, dalla stampa e dalla magistratura, si potrebbe giungere ad una svolta cruciale nelle indagini, riuscendo, attraverso la testimonianza di Damiani, una volta per tutte, a far luce sull’omicidio di Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica ucciso con nove colpi di pistola il 5 settembre del 2010.
Il 32enne di origini Italo-brasiliane, attualmente si trova rinchiuso nel carcere di Bogotà, dove sconta una pena relativa al reato di spaccio, ma dalla sua cella e attraverso le parole del suo rappresentante legale, non ha mai smesso di professare la sua innocenza, dichiarandosi estraneo a questo omicidio.
«Dopo l’arrivo a Roma – spiega l’avvocato di Damiani, Michele Sarno – il mio assistito, entro cinque giorni, dovrà affrontare l’interrogatorio di garanzia in relazione all’ordinanza per la quale è detenuto, dal momento che è imputato per una serie di estorsioni al mercato ittico. Dopo di che credo che si avvieranno le procedure per un suo avvicinamento a Salerno. Nonostante la grande attenzione che questo caso ha suscitato, e nonostante la Procura della Repubblica di Salerno abbia contributo affinché questa estradizione potesse essere perfezionata, abbiamo registrato delle lungaggini che non sono giustificabili da parte del ministero. Il nostro governo si dovrebbe interrogare su quanto tempo un cittadino italiano possa essere detenuto in un carcere straniero e attendere di ritornare nel proprio Paese». «Il mio assistito, inoltre – prosegue l’avvocato – è stato il primo a dirsi desideroso di tornare in Italia e affrontare i processi che lo vedono imputato e indagato».
Una figura cruciale e al centro di diverse ipotesi investigative quella di Damiani, per gli inquirenti sarebbe stato lui ad aver ucciso Vassallo e il movente andrebbe ricercato nell’ostruzione all’attività di spaccio che stava prendendo piede nella frazione di Acciaroli, capeggiata proprio dal brasiliano e alla quale il sindaco-pescatore si opponeva alacremente.
Damiani era sì uno spacciatore, ma non era un “pesce grosso”. Un ragazzo cresciuto in una famiglia numerosa, un po’ italiana – padre salernitano – e un po’ brasiliana, – nazione d’origine della madre – il sogno di diventare un calciatore supportato da un talento tumefatto dall’entrata a gamba tesa da parte del fascinoso richiamo del guadagno facile, offerto dal business della droga. Spaccio, rapine: la fedina penale di Damiani si macchia di questi reati.
È il classico “bullo”, la cui spavalderia è supportata ed avvalorata da un fisico aitante, ma non ha “le spalle forti del boss”. È uno che fa a pugni sul molo e che facilmente si lascia coinvolgere nelle risse per futili motivi in discoteca, esattamente come avvenne anche quell’estate. L’ultima trascorsa ad Acciaroli, l’ultima di Angelo Vassallo.
Un violento, un rissoso, un “buffone”. Ma pur sempre la classica figura criminale di basso rilievo. Difatti è apparso fin dal primo momento alquanto improbabile che Damiani “abbia fatto tutto da solo”.
Eppure è fuggito in Sud America quando ha fiutato il pericolo di finire dietro le sbarre.
La sua fuga rappresenta un’ammissione di colpa, secondo gli inquirenti.
Di certo, così come la famiglia Vassallo ha più volte sottolineato, il brasiliano sa molte più cose di quante ne abbia fin qui raccontate. E questa interpretazione potrebbe aprire il varco a diversi e possibili scenari: Damiani potrebbe essere l’esecutore materiale dell’omicidio o potrebbe aver assistito in maniera diretta o indiretta allo stesso.
Spetterà alla magistratura, adesso, assicurare ed assicurarsi che la giustizia faccia effettivamente il suo corso.