27 marzo 2004: un giorno come tanti, uguale ad oggi. Era sabato.
Quel sabato sera era destinato a macchinarsi di uno dei peccati più sanguinari vomitati dalle viscere ribelli del Quartiere Forcella. Quella sera, qual sabato sera, lungo quelle lingue discontinue d’asfalto, regnava un clima di surreale e religioso silenzio, quello che l’amore per la maglia azzurra impone ai suoi “discepoli”, allorquando il Napoli scende in campo.
Il silenzio che quella sera, quel sabato sera, rimbalzava tra le urla concitate dei cronisti alla tv, però, celava il preambolo di un sapore diverso. Meno propenso a lasciare spazio alla gioiosa ovazione, più avvezzo a cedere la scena a dolore, orrore, e disperazione.
Nel giro di pochi, labili, fugaci attimi in via Vicaria Vecchia si consuma una tragedia. A cadere tramortita al suolo, per effetto della feroce mitragliata di colpi esplosi, è Annalisa Durante, 14 anni.
Un proiettile le trafigge l’occhio e si conficca nel cervello. Annalisa muore dopo tre giorni di agonia.
Sette persone, oggi, vivono grazie a lei: i genitori autorizzarono l’espianto degli organi, palesando la magnanima e genuina essenza dei germogli insiti in quel cuore di adolescente, che avrebbero concorso a lasciar sbocciare un fiore tanto bello quanto raro da riscontrare, lungo quegli stessi angusti e tortuosi vicoli.
Annalisa: “un angelo”, non solo per effetto di quella lunga chioma bionda e di due occhi, azzurri e sognatori; non solo perché è volata in cielo, vittima di un destino prematuramente beffardo.
Annalisa è un angelo, perché, diversamente, non potrebbe sopravvivere nemmeno in paradiso sopportando il peso dell’impunità.
Non è importante ricordare per quale ragione Annalisa è stata uccisa, se per un regolamento di conti o per la “solita e consueta” lotta per la contesa del territorio, piuttosto che per ottenere l’egemonia di taluni traffici illeciti. Voler rendere dignitosamente e sinceramente omaggio alla memoria di “un angelo come Annalisa” significa sottolineare com’è stata uccisa.
E per farlo, è sufficiente avvalersi di due parole: “pistola” e “Camorra”. Accostandole al volto di Annalisa, risulterà eternamente chiaro che la vita che è stata stroncata, non aveva nulla da spartire con le brutture della criminalità.
Così come prepotentemente rilanciano quei sogni scalfiti nelle pagine del suo diario e quel sorriso radioso che raccontano la ragazza che è stata e la donna che sarebbe diventata. Se solo quella sera, quel sabato sera, lungo le strade della consuetudine, non avrebbe incontrato la morte.
Oggi, a Forcella, hanno ricordato Annalisa.
Anche la camorra lo ha fatto. Alla sua maniera.
Due sparatorie. Una a San Giovanni a Teduccio, l’altra nei pressi della Curia, a due passi da Forcella.
Deve necessariamente essere un angelo, Annalisa.
Diversamente, non potrebbe sopportare di udire ancora il silenzio trapassato dall’angheria degli spari, né che altri patiscano le sue stesse pene.
No, se Annalisa non fosse un angelo, non potrebbe mai accettare che si spari ancora. Oggi.