Chi tene ‘o mare hi tene ‘o mare
s’accorge ‘e tutto chello che succede
po’ sta luntano
e te fa’ senti comme coce
chi tene ‘o mare
‘o ssaje porta ‘na croce.
Chi tene ‘o mare
cammina ca vocca salata
chi tene ‘o mare ‘o sape ca?
fesso e cuntento
chi tene ‘o mare
‘o ssaje nun tene niente.
Questi i versi di una sensibile e famigerata canzone di Pino Daniele e che ben incarnano il sentimento che lega i napoletani a quell’infinita distesa di acqua salata che bagna la loro quotidianità lungo l’intero scorrere e trascorrere della vita.
Un legame forte e profondo, che a sua volta personifica ed ingloba le caratteristiche confacenti, distintive e peculiari dell’anima di quel moto perpetuo di salsedine che tanto raccontano dei napoletani: un popolo che si specchia e si rispecchia in quel vortice di emozioni, sfumature di blu e contraddizioni.
Un rapporto, quello vissuto con il mare, praticato e gestito in maniera strettamente soggettiva, proprio come avviene con la religione. C’è chi si limita a contemplarlo, chi, invece, avverte il viscerale bisogno di entrarvi in empatico e sinergico contatto.
“La voglia di mare” che vive nei napoletani, talvolta, assume un’accezione di senso difficile da spiegare, finanche agli altri napoletani, figuriamoci al resto del mondo.
Il lungomare Caracciolo personifica “un braccio di ferro ideologico” tra “sacro e profano”, tra chi contempla con devoto distacco e chi, invece, sente il bisogno di rompere gli schemi e tuffarsi in quelle acque, più o meno torbide, più o meno balneabili. Per costoro risulta secondario, pur di appagare quella “voglia di mare” che ribolle nelle vene.
Così accade che, con il sopraggiungere dei primordiali sbadigli primaverili, al cospetto di un mare inerme e di un sole mite che preannuncia il clima che si appresta ad irradiare la città, qualche anziano si concede una passeggiata lungo la riva, immergendo i polpacci nelle acque, mentre i giovanissimi confezionano il primo tuffo della stagione.
Un rituale che, da sempre, divide l’opinione pubblica. C’è chi in quelle acque fatica a rilevare le più imprescindibili e primordiali caratteristiche riconducibili alla balneabilità e, pertanto, “condanna” quel “costume che porta a finire in costume” in una cornice erta a teatro di tuffi e tintarelle.
Di contro, per chi nutre quel rapporto con il mare, non occorrono creme abbronzanti e neanche il costume: il sole. Basta il sole per accendere la “voglia di mare”.
Foto: napospia