Napoli. Sarà visitabile fino al 5 Aprile nel Salone delle Carceri di Castel dell’Ovo l’installazione “Willendorf’s overbooking“.
Nello spettacolare ventre di tufo del castello, gli scultori Pietro Marino e Rachele Branca con la collaborazione di Michele Prudente propongono una mostra che cerca il dialogo tra il mondo dell’arte antico e quello attuale.La Venere di Willendforf, infatti, è il motore di un’installazione di sicuro interesse visivo ed emotivo.
La Venere di Willendorf è la più famosa delle veneri paleolitiche, si può considerare il più antico capolavoro della storia della scultura. Conservata nel Museo di Storia naturale di Vienna,è databile tra 40.000 e 15.000 a. C.
Ciò che colpisce di più è la deformazione-esagerazione della sua anatomia. Le forme del corpo sono quasi esasperate, e nell’insieme la statua ha un aspetto molto solido, pieno, massiccio,con una propensione all’ accentuazione soprattutto di alcune parti, come il sesso, il seno, i glutei, il ventre. Altre parti sono trascurate o mancano del tutto: non ci sono i piedi, le braccia sono appena accennate e raccolte sopra al seno, le mani sono appena scalfite, manca la faccia.
E’ evidente che quello che viene rappresentato non è una donna, ma un’immagine simbolica della maternità in senso astratto. Per questo manca la faccia, perchè non si riferisce a una donna, anche generica, ma vuole essere un’immagine del concetto di fecondità, intesa come capacità procreativa, e vigoria fisica.
La Willendorf, con maggiore precisione diremo il complesso dei simboli che la Willendorf riunisce, ha ispirato una ricerca di mesi conclusa con la realizzazione di otto statue-steli. Quelle, realizzate in legno, argilla e plexiglass, di grandezza superiore il naturale, riproducono la celeberrima statuina viennese alterandone le dimensioni e parzialmente la forma originale. L’obiettivo degli autori mira a suggerire prospettive nuove di lettura concentrando l’attenzione degli spettatori su questa opera di fondamentale importanza nella storia delle civiltà preistoriche.
“Willendorf’s overbooking” incrociando mito e forma primitiva con un presente storico problematico mette sotto la lente di ingrandimento questioni attualissime e drammatiche. Il controllo demografico, libero o imposto dalle condizioni sociali, è, infatti, una fondamentale prova per tutte le civiltà contemporanee. Le otto statue-steli esposte in una luce volutamente incerta ed evocativa torreggiano solitarie, interrogative. Rigettando ogni proposizione limitante ed univoca l’installazione costruisce, a mezzo di rifrazioni e rimandi, una sperimentazione formale e tematica di grande intensità e coinvolgimento.