«I carcerati troppo spesso sono tenuti in condizioni indegne della persona umana, e dopo non riescono a reinserirsi nella società». Con queste parole, Papa Francesco, ha articolato il suo discorso ai detenuti di Poggioreale, con i quali ha pranzato nel corso del suo viaggio a Napoli.
“A volte capita di sentirsi delusi, sfiduciati, abbandonati da tutti: ma Dio non si dimentica dei suoi figli, non li abbandona mai! Egli è sempre al nostro fianco, specialmente nell’ora della prova; è un Padre ‘ricco di misericordia’, che volge sempre su di noi il suo sguardo sereno e benevolo, ci attende sempre a braccia aperte” – continua Papa Francesco – «Questa è una certezza che infonde consolazione e speranza, specialmente nei momenti difficili e tristi. Anche se nella vita abbiamo sbagliato, il Signore non si stanca di indicarci la via del ritorno e dell’incontro con Lui. L’amore di Gesù per ciascuno di noi è sorgente di consolazione e di speranza. E’ una certezza fondamentale per noi: niente potrà mai separarci dall’amore di Dio! Neanche le sbarre di un carcere”, sottolinea inoltre.
Niente di più attuale, riconducibile alla vicenda di Francesco Schiavone che tenta il suicidio in carcere.
Detenuto nel carcere de L’Aquila, in regime di 41/bis, Francesco Schiavone, cugino dell’omonimo e più noto esponente della camorra conosciuto come ‘Sandokan‘, ha tentato per due volte di togliersi la vita: la prima tentando di impiccarsi con una corda al collo ed una busta di plastica in testa, la seconda tagliandosi le vene dei polsi.
Nei mesi scorsi Schiavone, tramite i suoi avvocati, aveva presentato ricorso alla magistratura di Sorveglianza per le condizioni inumane di detenzione e per l’esiguità dello spazio a sua disposizione. Il Tribunale di Sorveglianza ha accolto il ricorso ma contro la decisione del Magistrato di sorveglianza si è appellato il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
Non è un caso isolato, purtroppo è risaputo che spesso, l’Italia viola i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove hanno a disposizione meno di tre metri quadrati.
Schiavone ha spiegato i motivi di tale gesti in una lettera inviata al Garante: “Mi hanno salvato – scrive in una lettera indirizzata al Garante – ma era meglio se non lo facevano, nella disumanità che si vive in questa condizione la morte è una liberazione. (…) Qui un ergastolano vive come un animale legato da solo ad una catena e non può muoversi, comincia a mordersi da solo. Così mi sento io perché diritti mi sono stati tolti e mi sento come un cane da solo e comincio a mordermi per fare una galera più dignitosa. Umana. (…) Ho perso la fiducia di me stesso e penso che solo la morte mi può salvare da questa ingiustizia”.
Nelle carceri italiane ci sono poco più di 40mila posti disponibili per oltre 60mila detenuti. Questo sovraffollamento insostenibile, determina condizioni igienico-sanitarie disumane.
Non a caso, i suicidi tra i detenuti, ma anche tra gli agenti di polizia penitenziaria sono frequentissimi. Non esiste rieducazione possibile, solo ulteriore violenza e un abbrutimento peggiore. Ci si domanda a questo punto: un sistema carcerario che funziona in questo modo, anzi, che nel suo complesso non funziona affatto, a chi giova? Accresce forse la sicurezza dei cittadini? Scoraggia chi ha compiuto un crimine dal delinquere ancora? Naturalmente no.