Il 6 marzo 1983, veniva commercializzato il primo cellulare: stretto e lungo, non facilmente maneggevole e per lo più costosissimo. Inizia cosi l’era della telefonia mobile.
Possiamo considerarlo un bene o l’inizio della costruzione del muro dell’incomunicabilità?
Il cellulare può essere valutato, indubbiamente, come l’oggetto del progresso. Tutti ne possiedono uno, anche i più scettici o chi ha difficoltà sostanziali nell’approccio con la tecnologia. Il cellulare è l’accessorio senza cui non si può uscire, quello che non manca mai in borsa o in tasca, quello senza cui le giornate non possono procedere.
La sua utilità è necessaria, serve per le comuncazioni più urgenti, come gli impegni lavorativi, o per unire, anche se virtualmente, le persone più lontane.
Ma il confine tra utilità e abuso è labile.
Quante volte è capitato di scendere in strada e osservare persone incollate quasi ipnoticamente ad uno schermo, quante volte in compagnia di amici capita di parlare al telefono, piuttosto che scambiare opinioni o ridere di sano gusto?
Nel corso del tempo, come è noto, il cellulare ha subito numerose innovazioni come l’inserimento di internet: modo rapido di informarsi, ma allo stesso di allontarsi dalla realtà emotiva.
Le semplici espressioni umane, come il sorriso, sono state sostituite dai sterili smiley inespressivi, le quotidiane conversazioni, rimpiazzate da glaciali messaggi. Il cellulare sta diventando pian piano una dipendenza stressante, è il motivo principale per cui non si riesce più a godere della vera comunicazione: quella reale.
Non siamo più capaci di condurre uno stile di vita che non preveda la presenza dell’ultimo modello di cellulare, anche se il suo costo è pari ad uno stipendio. Condizione, quest’ultima, necessaria ed imprescindibile per essere alla moda.
Siamo diventati una generazione sovrastata da un oggetto tascabile che sta paralizzando pian piano le nostri menti, la purezza delle nostre idee, la sincerità delle nostre emozioni.
Bisogna regredire, bisogna tornare ai tempi in cui si aveva il piacere e la gioia di incontrare un amico di vecchia data, di abbracciarlo, di guardarlo negli occhi, lontani dalla monotonia di uno schermo luminoso, privo di ogni aspetto e peculiarità umana.
Ritrovare quell’equilibrio, peculiare del giusto: il giusto utilizzo, la giusta misura.
Quel giusto che non appartiene agli eccessi, ma, come dicevano i vecchi saggi “sta nel mezzo”.