“Cultura, arte e leggenda, fanno di Napoli un luogo dove il presente, seppure buio e travagliato, non riesce a corrompere e distruggere, ciò che la storia ha consegnato a questa città, nell’arco dei secoli. Alzando lo sguardo verso il cielo limpido e sereno, i partenopei possono godere della vista di due monumentali figure, poste lì come guardiani protettori della loro gente: da un lato il Vesuvio e dall’altro, sulla collina del Vomero, il punto più alto della città, la Certosa di San Martino.”
Nel 1325, sulla sommità del colle, Carlo duca di Calabria, primogenito di Roberto d’Angiò, fece erigere un monastero. Della primitiva soluzione architettonica, voluta accanto al castello di Belforte, rimangono pochissimi elementi: sono riconoscibili alcune aperture con archetti in stile catalano che si trovano nell’ex refettorio, usate probabilmente come passavivande, venute alla luce in un recente restauro. Gli architetti che iniziarono la costruzione della Certosa furono i medesimi che lavoravano negli stessi anni al castello: Tito di Camaino e Francesco di Vivo.
Alla morte di Tito di Camaino, già famoso per il Duomo di Pisa e capomastro della corte angioina, l’incarico di architetto del complesso di San Martino passò ad Attanasio Primario. Dell’impianto originario costruito in epoca trecentesca, restano i grandiosi sotterranei gotici, suggestivi e imponenti ambienti realizzati da una successione di pilastri e volte ogivali. Questi ultimi rappresentano una notevole opera d’ingegneria necessaria a sostenere l’edificio e a costruirne il basamento lungo le pendici scoscese della collina. Dalla ricerca iconografica e da rilievi ed osservazioni effettuate sulle strutture, risulta verosimile l’ipotesi che il progetto di Tino di Camaino abbia inglobato preesistenti strutture di tipo difensivo dell’antico castello di Belforte.
Nel 1337 i certosini presero possesso della Certosa che fu però inaugurata nel 1368 sotto il regno della Regina Giovanna I d’Angiò. Il complesso fu dedicato a Martino de Tours, probabilmente per la presenza nel luogo di un’antica cappella preesistente a lui dedicata. Sotto la spinta della Controriforma la Certosa fu modificata secondo criteri più moderni e grandiosi.
Alla fine del XVI sec. la certosa subì rimaneggiamenti e ampliamenti in stile tardo-manieristica e barocco. I lavori vennero affidati dal 1589 al1609 al Dosio che fu di fatto il primo artefice di gran parte delle trasformazioni ricevute dal complesso. Dal 1618 al 1625 la direzione del cantiere passò a Giovan Giacomo di Conforto, mentre dal 1623 al 1656 lasciò la sua impronta artistica Cosimo Fanzago, protagonista indiscusso della regia della decorazione e della nuova configurazione architettonica barocca. Per tutto l’arco del Seicento si avvicendano nel cantiere le maggiori personalità artistiche del tempo, tra cui Battistello Caracciolo, Jusepe Ribera e Giovanni Lanfranco.
Nei secoli successivi, si realizzano la Cappella della Maddalena e l’elegante Refettorio con annesso Chiostrino: questo periodo vede attivi Luca Giordano, Francesco Solimena, Paolo De Matteis e Francesco De Mura nell’esecuzione di affreschi e dipinti; Domenico Antonio Vaccaro e Giuseppe Sanmartino in scultura. L’occupazione dei francesi nel 1799 dà inizio al declino della Certosa, soppressa dal 1805, con la dispersione di parte del suo patrimonio.Nel 1799 i certosini vennero cacciati per giacobinismo, ritornarono nel 1804 e dopo un po’, nel 1807 vennero di nuovo espulsi; nel 1836 vennero di nuovo riammessi e infine espulsi definitivamente nel 1866, quando la Certosa divenne bene monumentale proprietà dello Stato per volere di Giuseppe Fiorelli. Lo stesso Fiorelli fu promotore della nascita e della formazione del museo, secondo un ‘modello’ esemplare di raccolta di ‘patrie memorie’.
Di recente, il plesso monumentale è stato protagonista di un episodio alquanto singolare. Un autobus ANM della linea V1 in servizio sulla tratta San Martino – Quattro Giornate, ha urtato contro una parete della facciata esterna della Certosa di San Martino. L’autista che aveva stazionato nel piazzale antistante ha dichiarato che al momento dell’urto non era alla guida: prima di allontanarsi, aveva messo in sicurezza il veicolo, spento i motori e azionato il freno. Il mezzo ha riportato solo lievi danni, mentre l’Anm ha aperto un’indagine interna per accertare la dinamica dei fatti. La struttura e i tesori che custodisce non hanno subito danni.