“Sembrava la scena di un film, ma non era una pistola giocattolo e quello era sangue vero”.
Poche, stravolte e sconvolte parole, riescono ad accostare al raid consumatosi ieri sera in via Cleopatra, nel quartiere Ponticelli, coloro che vivono all’interno di quei palazzoni che costeggiano la strada inglobata nel nome e nel concetto di “Lotto Zero”.
“Vivere”: un concetto, da queste parti, arricchito di oneri e svilito di semplicità, appesantito dalla paura e depauperato di libertà.
Libertà di “tenere gli occhi aperti”, ma, al momento debito, possedere la celere e solerte destrezza necessaria per coprirli, portandosi le mani agli occhi.
Libertà di scegliere.
Libertà di “sentirsi liberi”.
È una giovane madre che vive lì, in uno degli anelli di quelle lunghe catene dalle fauci di cemento, insieme ai suoi bambini e a suo marito, un semplice e modesto operaio a sfogare la sua rabbia, mista a paura. Una madre costretta a relegare nel cassetto dei sogni il desiderio di diventare infermiera, quando è rimasta incinta del primo figlio ed è andata a vivere lì: nel Lotto Zero.
“È già difficile mandare giù l’espressione che assumono le persone quando chiedono: “Dove abiti?” e rispondi: “nel Lotto Zero”. Se rispondessi “all’inferno” non farebbe molta differenza. Come in tutte le “zone calde”, i “cattivi” si dividono la scena con i “buoni” e non è facile. Perché non andiamo via? È semplice. Non abbiamo alternative. E sarebbe un dovere preciso delle istituzioni aiutare i “buoni” a prevalere sui “cattivi”. Invece siamo abbandonati a noi stessi, al nostro imprevedibile destino. Aveva 21 anni il ragazzo che è morto ieri sera poco distante da casa mia. Ogni volta che ci penso mi vengono i brividi. Solo 21 anni. È tutto il giorno che ci penso.”
Un destino, probabilmente, segnato dalla scelta di “stare dalla parte dei cattivi”, perché tutto lascia presagire che il giovane sia stato vittima di un agguato. Si vocifera, infatti, che qualche tempo fa, Gianmarco, – questo il nome del ragazzo raggiunto da svariati colpi d’arma da fuoco durante la serata di ieri – fosse stato già vittima di un raid dal quale riuscì a mettersi in salvo. Ragion per cui, il ragazzo aveva cambiato casa, pensando che bastasse a sottrarsi a quell’infimo destino.
Ieri sera, invece, ha dovuto ricredersi.
Sono giunti nei pressi del circolo ubicato in via Cleopatra a bordo di una moto di grossa cilindrata, con il volto coperto da caschi integrali. Una scena da “Gomorra” che pochi dubbi lascia sulla matrice camorristica alla base di quell’esplosione di proiettili.
“Quando fa buio, già da diverso tempo, calo le tapparelle e non mi affaccio al balcone, qualsiasi cosa accada. Non stendo i panni, né lì tiro via, preferisco farlo di mattina. Anche se, tra notte e giorno la differenza sta solo nel fatto che quando c’è la luce è più facile “fiutare il pericolo”. Tira una brutta aria, tesa, molto, sempre di più. È come se fosse lecito aspettarsi che accada qualcosa da un momento all’altro. Qualsiasi cosa. Ieri sera abbiamo subito capito che ci era scappato il morto. Ho paura per i miei figli, non solo per quello che gli può succedere, ma anche per il tipo di educazione che può derivare dal crescere in un contesto come questo. Come devo sentirmi io, come madre, pensando che oggi sono andati a scuola e se gli amichetti gli hanno chiesto “cosa avete fatto ieri?” loro magari hanno risposto: “Le solite cose. Poi, mentre guardavano la tv, hanno sparato a uno. Ma non nella televisione, nei pressi del balcone di casa nostra.” Per quanto cerchi di spiegargli quello che succede, come si fa a spiegare a dei bambini qualcosa che nemmeno adulti noi siamo in grado di capire? Hanno sparato a questo ragazzo. Adesso, magari, qualche loro ragazzo verrà a sua volta ucciso. Poi toccherà di nuovo a uno di queste parti. È un cerchio che non si chiude mai ed è questo il pensiero che genera più allarmismo e timore.”
Le ipotesi investigative, infatti, sembrano collocare l’agguato nell’ambito della guerra per il controllo delle attività illecite e che, al momento, vede i clan di Napoli Est osteggiare quelli di Forcella. Ed è proprio dal quartiere ubicato nel cuore di Napoli che gli inquirenti presumono siano partiti i killer.
Fa specie che tutti, media e cittadini comuni, parlino di Gianmarco come se fosse già deceduto. In realtà, il 21enne, giunto al Loreto Mare in condizioni disperate, è clinicamente morto, tenuto in vita solo dai macchinari.
“Succede perché, forse inconsciamente, in ognuno di noi vive la consapevolezza che non è il Signore a disporre della sua vita. Se questa gente ha deciso che deve morire, nemmeno Dio lo può salvare.”