Napoli, prima di diventare una grande e caotica metropoli, così come la conosciamo noi, era una vera e propria cittadella fortificata.
Oggetto di desiderio di numerose popolazioni, l’antica Partenope, ribattezzata Neapolis (città nuova) nel 507 A.C. , attirava le attenzioni dei conquistatori, sia per il clima, sia per la posizione strategica data dal golfo, sia per la naturale bellezza della terra e sia per quel congenito fascino per colpa del quale, ancora oggi, chi ne viene ammaliato, una volta arrivato a Napoli, non vorrebbe più andarsene.
Da qui, l’esigenza di costruire mura fortificate che proteggessero il centro urbano, con relative Porte di accesso che venivano sorvegliate da apposite torrette di avvistamento. Le mura, di cui oggi, purtroppo, rimangono poche testimonianze, erano costruite in pietra di tufo provenienti da una cava di età greca che si trova a Poggioreale, individuata casualmente nel 1987 in seguito ad un cedimento, sotto il cimitero del Pianto e precisamente al di sotto del piazzale antistante la Chiesa di Santa Maria del Pianto. Queste fortificazioni avevano concorso a creare intorno al nome di Neapolis una solida fama di inespugnabilità, confermata dalle fonti storiche relative alla guerra Annibalica ( 218-202 a.C. ) e al conflitto greco-gotico (VI secolo d.C.).
Una delle più antiche e tristemente nota porta d’accesso era Porta Carbonara o Porta di Santa Sofia (ancora prima Porta Pusteria). Il nome col quale il varco era maggiormente conosciuto derivava dal fatto che, nelle sue immediate vicinanze, vi era un luogo (il carbonarius, l’attuale via Carbonara) nel quale venivano versati ed inceneriti i rifiuti raccolti all’interno della cinta urbana.
La porta sorgeva alla fine del Decumano Superiore che insieme al Decumano Maggiore e al Decumano Inferiore costituiva una delle tre strade progettate in epoca greca e che attraversavano in tutta la loro lunghezza l’antica Neapolis. La porta di Santa Sofia passa alla storia come inconsapevole e involontaria complice dell’invasione nemica, in ben due epoche storiche molto distanti fra loro.
Nel 537, il Generale bizantino Bellisario, si accampò di fronte alla Porta di Santa Sofia, determinato a prendere Napoli, per fame e per sete. Tuttavia il suo lungo assedio, non riuscì a scalfire la forte determinazione della popolazione, fino a quando alcuni suoi soldati e forse qualche napoletano non trovarono la via sotterranea: un ramo dell’antico acquedotto greco della Bolla. Vi scesero da un pozzo fuori le mura e riemersero da un altro pozzo dentro le mura, oggi sepolte sotto la cortina di palazzi fra via San Giovanni a Carbonara e via Cesare Rosaroll. Una volta aperta la porta di Santa Sofia, l’esercito di Belisario entrò e fece strage di Goti e di Napoletani.
Nel 1442 toccò ad Alfonso V d’Aragona conquistare Napoli, passando per un pozzo vicino alla porta; come Belisario, accampò l’esercito comandato da Diomede Carafa dinanzi a Porta Santa Sofia. Anche lui utilizzò un pozzo che conduceva alla città, indicatogli da due pozzari stanchi dell’assedio e gli fu facile prendere la città, facendo entrare il resto delle truppe per la porta. Se Alfonso sapesse di Bellisario, magari leggendo le cronache di Procopio, storico delle guerre gotiche, rimane ancora oggi un mistero.
La porta fu abbattuta nel 1537, quando Don Pedro di Toledo, vicerè di Napoli dal 1532 al 1553 per conto di Carlo V d’Asburgo, promosse l’allargamento delle mura ad occidente.