I festeggiamenti per il Carnevale sono terminati da qualche giorno, ma alcune polemiche legate a questa ricorrenza sembrano essere andate per le lunghe.
È il caso del Carnevale di Pesaro, dove la Diocesi locale ha alzato un polverone affermando di aver notato, durante le attività organizzate per festeggiare il Carnevale, degli strani travestimenti. I travestimenti in questione riguardavano dei bambini che, al posto dei classici costumi di Tartarughe Ninja o Superman, avevano indossato per l’occasione delle tute nere con annesso passamontagna e brandivano un coltello. Questi piccoli, agli occhi di uomini di Chiesa e non, sono sembrati la perfetta riproduzione dei militanti dell’Isis che, negli ultimi mesi stanno seminando il terrore in tutto il mondo con le loro esecuzioni e le loro minacce all’Occidente.
La denuncia arriva dal settimanale della Diocesi di Pesaro, “Il Nuovo Amico”, che riporta le seguenti parole: “Tra la folla dei nostri festeggiamenti abbiamo notato dei bambini che hanno deciso di travestirsi da tagliagole dell’Isis e abbiamo riscontrato dei casi analoghi anche in alcune scuole di provincia. È normale che i maschietti desiderino travestirsi da guerrieri, ma vederli maneggiare un coltello, seppur di plastica, fa un certo effetto”.
Siamo sicuri che, una volta dismessi questi tristi costumi, i piccoli siano tornati dei normali bambini bisognosi della favola e del bacio della buonanotte prima di coricarsi ma, riflettendo sulla questione, possiamo renderci conto di quanto sia torbido questo argomento. Partiamo da due presupposti che stanno alla base di questo “equivoco”, ovvero genitori e mezzi di comunicazione. Ci viene difficile pensare che dei bambini conoscano davvero la reale situazione del Califfato e che, di loro spontanea volontà, abbiano interpretato i filmati dell’orrore come l’ultimo videogame all’avanguardia, tanto meno possiamo pensare che da soli abbiano deciso di emulare questo fenomeno procurandosi da soli i costumi incriminati. Vorremmo tanto sapere cosa hanno pensato i genitori quando i loro figli hanno manifestato il desiderio di vestirsi da terroristi e chissà se non siano stati proprio loro a voler vedere i loro piccoli destreggiarsi tra coltelli e kalashnikov come dei novelli James Foley.
La televisione, i giornali, il web e non solo, ci stanno offrendo un quadro drammatico della situazione. Abbiamo visto persone senza alcuna colpa essere decapitate, lapidate, arse vive e crocifisse. Abbiamo visto gli incappucciati puntare i loro coltelli alle telecamere, minacciare la tranquillità delle nostre case, infondere la paura nelle nostre teste, paura che si è fatta ancora più viva dopo gli attacchi di Parigi e Copenaghen, per non parlare della famosa frase “siamo a sud di Roma” che ha messo in allerta tutti gli organi di sicurezza. E non riusciamo a non pensare al paradosso che si crea quando ci accorgiamo che da una parte del mondo ci sono dei bambini che, inconsapevolmente, interpretano il terrore e dall’altra parte del mondo ci siano altri bambini che, invece, il terrore lo vivono.
Nella nostra mente sono ancora vive le immagini delle mamme irachene che piangono sui corpi dei loro piccoli massacrati dal Califfato per aver visto una partita di calcio ma poi, magari, corriamo anche il rischio di imbatterci in qualche “selfie” di un genitore orgoglioso che mostra al mondo il proprio figlio felice nel suo costume da baby-terrorista e ci chiediamo se sia il caso di utilizzare abiti neri e coltelli soltanto per interpretare il caro vecchio Zorro.