Io veramente l’ho sentito. È appena finita la ballata, il centro è occupato, ci entri da un vialetto stretto appena dietro le case dei Puffi. Il cantante canta, l’orchestra accompagna e la gente sembra estasiata: “tu vuo’ fa l’american, sient a me chi to fa’ fa”? Sono appena arrivato a Monterosa, i carri iniziano appena ad uscire dal Gridas. Il Gridas – Gruppo risveglio dal sonno – è l’associazione “al servizio della gente comune per stimolare un risveglio delle coscienze e una partecipazione attiva alla crescita della società” fondata anche da Felice Pignataro nel mio anno di nascita il 1981, la stessa che da 33 anni organizza e da luce al carnevale di Scampia, il migliore di Napoli. Sono pronto dalle 10:00 il mio amico ha fatto tardi ma siamo ancora in tempo, saluto un po’ di gente, apro lo zaino prendo la macchina fotografica e lascio il gruppo “ci vediamo dopo”.
Inizia il mio viaggio a Carnevale.
Seguo i carri, sono in coda, loro girano tutto intorno al quartiere e la gente aspetta alle finestre, i bambini sono tutti per strada, oggi qui c’è gente da ogni parte della città e oltre. Dietro di me due persone, un uomo e una donna di mezza età, parlano in Inglese, lui spostando uno zaino azzurro dalle spalle dice “ It’s amazing!”. Sorprendente, non pensava il signore. Beh, a dire il vero nemmeno io pensavo. Abito ad un palmo di naso da Monterosa, da adolescente ci venivo dalla mia giovane fidanzata. In motorino a cent’allora attraversavo Secondigliano ed in prossimità della caserma Boscariello m’infilavo in un vicoletto stretto, scansavo dei paletti in ferro a zigzag, e poi lei che mi aspettava. Questa però è la prima volta che vengo al carnevale, il Carnevale di Felice.
Felice Pignataro è da sempre uno dei miei artisti preferiti, in assoluto. Il primo che ho conosciuto. Da bambino andavo a scuola in Piazza Tafuri a Piscinola, La Torquato Tasso. Si trattava di un edificio enorme lungo più di cento metri e alto sei piani che sono dodici, bianco come una Balena e con decine di finestre, forse cento. Fuori c’era un muro di cinta che proteggeva la struttura, era alto più di tre metri, con due ingressi, lungo tutto il perimetro frontale della scuola. Sopra al muro un gigantesco murales di Felice che si estendeva dal primo al secondo cancello. Raccontava di Umanità alla merce di pochi, bambini uomini donne e personaggi fantastici urlavano, sorridendo, delle ingiustizie che subivano; erano le sue maschere. Uscito da scuola giocavo a pallone tutta la giornata di fronte a quel disegno, una delle porte dove spesso segnavo era il cancello dell’ ingresso. Quelle maschere hanno accompagnato tutta la mia infanzia e adolescenza, finché un uomo scellerato non decise di buttare il muro giù e con se il disegno. Felice di opere del genere ne ha lasciate ovunque, si dice che sia stato lo StreetArtist, oggi così si chiamano, più attivo della storia, si dice che abbia realizzato più opere di chiunque altro. Si dice sia stato fra i migliori, è stato certamente il migliore di una storia: la mia.
Il corteo va avanti, nelle mie foto le maschere della mia infanzia e nel frattempo lasciamo Monterosa; di colpo gli spazi si allargano, le strade diventano ampie e i palazzi si allungano: Scampia. Percorriamo un lunghissimo Viale, la gente dalle finestre lancia coriandoli a “Mappate” e la folla cresce, i bambini corrono e giocano, tutti sono cortesi, e molti sorridono. Ci sono tanti gruppi colorati, ognuno di questi ha preparato un allegra coreografia, molti hanno portato degli strumenti per la musica e saltano, ballano, cantano e fischiano. Mi colpisce, però, tra i tanti colori, un gruppo di ragazzi vestiti di nero con delle fasce rosse, fra loro una giovane donna, che credo non conosca il posto, si guarda intorno stupita e continua a ballare ha in viso la spensieratezza di chi ha lasciato tutto il resto fuori da questo tempo; posti del genere per chi viene da fuori sono in ogni caso una rivelazione, la vita sceglie il verso, il suo è di certo il carnevale. Accanto a lei una maschera di Pulcinella da spessore alla mia visione e in testa al gruppo una tromba suona e guida tutti. Arriviamo ad una rotonda, i Vigili bloccano il traffico e tra la gente ferma in macchina ad aspettare nessuno che protesta, mi metto nei lati guardo la folla che avanza, tre ragazzi colorati di giallo sistemano dei cartelli e mentre giocano dividono un pezzo di pizza con le scarole. Ognuno sembra aver portato qualcosa e tutti dividono con tutti. Nel frattempo riappare il mio amico, anche lui con la sua gente che continua a chiacchierare. Qui il tempo sembra si adatti al flusso del corteo e mai viceversa, io ad esempio non mi chiedo l’ora da quando sono arrivato, nell’aria però un profumo di Carciofi arrostiti mi dice che un po’ di tempo è forse passato, e son le 14:00, così, senza pensare.
Il corteo si ferma, dalla testa c’è chi a voce alta spiega il programma e quello che resta da fare, poi ovviamente chi festeggia e chi decide andare. Entriamo in un vialetto, qualche decina di metri, e nel cortile di una vecchia scuola un gruppo Internazionale – Rom/Napoletano – propone tre pezzi della antica scuola nostrana si canta e si balla, io trovo un posto per fotografare; i colori sono tanti, alzo gli occhi e noto un angolo, si tratta di uno stanzone senza divisioni con tre enormi finestre che danno proprio sul palco. All’ingresso un ragazzo basso e pelato mi chiede “Foto”? poi mi indica la strada, a destra prima scala. Salgo un piano e mi affaccio per scattare. Lo si fa a turno purché veloci, il tempo è poco la gente assai e il concerto dura il tempo di iniziare. Finisce la ballata, esco dal centro giro dietro i Puffi e seguo il rumore di una decina di tamburi, davanti a me le palazzine si aprono a specchio, scelgo quella destra salgo sei scalini percorro un corridoio e mi ritrovo su comune balcone, insieme a decine di persone. Chiedo permesso, trovo un posto, mi affaccio, guardo giù ed ecco … l’ho sentito. Centinaia di colori, pagliacci giganti danzano con nani e cantanti, incantevoli ballerine abbracciano i Pulcinella e gli Arlecchini. Anch’io dal comun balcone ballo e mi sbatto e cerco una penna per segnare, ma questo è il carnevale di Felice e qua anche senza inchiostro sul taccuino della tua anima linee indelebili puoi tracciare.
A Felice, Giuseppe Divario