Giro spesso in città. Cerco alternative. Giaccio è un amico di lungo corso, ci conosciamo dai tempi delle scuole medie. Abbiamo iniziato insieme il percorso artistico, eravamo in tre, pittavamo sui muri. Io ero quello degli schizzetti, lui era il tattico faceva kilometri alla ricerca di muri buoni. Li trovata, Giaccio li trovava. Ci accomunava la passione per le alternative, venivamo entrambi da un quartiere che offriva poco ed entrambi cercavamo in ogni modo di essere diversi, fuori dalla massa, insomma, soprattutto perché essere massa in un quartiere a Nord di Napoli non è sempre una buona cosa.
Tre settimane fa lo incontro vicino casa mi fermo e ci scambiamo un cinque, è sempre un piacere vedere un vecchio amico. Lui ha un animo rivoluzionario ed ha sempre avuto le energie per fare la guerra, ma la guerra per la pace; Giaccio è un buono e ama dare una mano. Tempo fa mi raccontava che dava lezioni di StreetArt, oggi così si chiama, ai ragazzini del quartiere. Li portava a Mondragone e li faceva disegnare muri abbandonati al loro destino, dava colore al degrado e trasmetteva conoscenze, le sue. Mi parla della storica e attuale missione, Il Mammut.
Il Mammut è un centro territoriale che si occupa di rivalutare, attraverso ogni genere di attività ludica e artistica, esseri umani. Bambini, adolescenti e giovani adulti ci passano e, se vogliono, imparano a fare qualcosa. Mi parla di un progetto a cui contribuisce da tempo, la CiclOfficina. A grandi linee mi spiega che si tratta di un laboratorio che coinvolge e attiva vari ragazzini attraverso la riparazione di bici, proprie e di altri. M’invita ad andarci, non me lo faccio ripetere. Una settimana dopo, alle 16:00 in punto mi ritrovo a Piazza Giovanni Paolo II, Scampia. Sotto un enorme ammasso di cemento armato a forma rettangolare sorretto da una ventina di colonne alte almeno 10 metri. Per ogni una di queste colonne un disegno e in fondo ad esse una porta con una discesina.
Fuori la porta, una decina di bambini con 5 biciclette aspettano che Chiara finisca di lavare il pavimento per entrare. Mammut. Giaccio ancora non c’è. Chiara, la responsabile, è subito molto accogliente; mi vede da lontano “Benvenuto!” e m’invita ad entrare, la conosco pochissimo, ma dall’esterno so cosa fa e di cosa si occupa. E’ un educatrice e da lì a poco capirò il perché. Arrivo sul ciglio della porta, lei esce ci abbracciamo e mi presenta ai bambini, fra loro c’è Domenico “Lui è forte con la macchina fotografica, una volta ha fotografato il Carnevale, è stato bravissimo.” mi dice Chiara. Domenico non è proprio un ragazzino, avrà 16 anni, due enormi occhi azzurri e mi sembra proprio felice. Felice di stare dov’è. Ancora pochi minuti, il pavimento s’asciuga ed io insieme ai bambini, che nel frattempo sono raddoppiati, entriamo, loro rispettosi mi lasciano passare avanti. La sala è spaziosa, tenuta molto bene “sistimat” si dice da queste parti.
Al centro un grande tavolo da lavoro in legno massiccio, sulla destra un enorme scaffale che prende tutta la parete fino alla porta, dove sono poggiati a scomparto tanti pezzi di ricambio per le bici, vernice di ogni tipo, vite, chiodi e ogni genere di strumento. Alle spalle del tavolo una postazione in legno blu con gli attrezzi; martelli, chiavi, tenaglie, pinze, e cacciavite di varie dimensioni. Sulla parete sinistra invece una lavagna dove Chiara, una volta iniziato il lavoro, appende i bigliettini con i nomi dei bambini e il loro compito giornaliero. Il compito lo scelgono i bambini ovviamente, Chiara non impone nulla a nessuno, né nei fatti né nei modi. E’ una donna estremamente paziente e comprensiva e, pensavo, visti i tanti ragazzi, ne avrebbe avuto bisogno. Chiede ai ragazzi di sedersi a cerchio intorno al tavolo e dice a tutti che questa è una giornata speciale per la ciclOfficina, l’ultima.
Ci sarà una pausa.
Chiede ad ognuno di dire la sua e poi organizza la giornata. Inizia il lavoro; ogni uno con il suo compito, chi non ne ha subito aiuta l’altro mentre aspetta il suo turno, una straordinaria rappresentazione di comunità laboriosa. Straordinaria e con pochi intoppi. Mi spiego: provate a prendere dieci bambini in qualsiasi parte del Mondo metteteli tutti insieme in una stanza con cinque bici smontate e centinaia di attrezzi da utilizzare. Provate a stare con loro per un’ora, uscite e poi rientrate. Il risultato potete immaginarlo da soli. Caos. In questo caso quello che subito mi balza agli occhi è la disciplina; di solito ci insegnano a fare cose e stare in silenzio, ma non sempre riusciamo a farlo. Qua tutti parlano e tutti fanno qualcosa, ma cosa importante tutti riescono.
Fra i vari ruoli c’né uno molto ambito: il fotografo.
E’ fisso ogni volta si scattano delle foto da archiviare, oggi tocca ad Ernesto. Il grande. Sette anni, vispo, asciutto, pochi denti ed una velocita spaziale, passa in pochi secondi da un estremo all’altro del tavolo, fotografa chiunque, purché non in posa, “non si può è vietato” dice, poi viene da me si siede al mio fianco e mi chiede “com’è”? ed io “ è bell’ , vai Ernè”!.
Nel frattempo arriva Giaccio, vestito leggero come suo solito e porta con se un po’ di merende e il latte per i ragazzi, entra saluta tutti e si mette a lavoro. Anche lui, ovviamente. Anche lui con estrema pazienza spiega a chiunque ne abbia bisogno cosa e come fare, poi prende una bici la capovolge smonta una ruota, controlla i freni, lavora con l’acqua per le bucature, spiega ad Ernesto perché non andava ed insieme a lui esce a provarla. In questo caso Ernesto cambia ruolo, diventa testa bici, si siede su una sella più alta di lui fa un giro per lo spiazzale poi accelera tira il freno di botto e sgomma “va bon” ! è fantastico.
Non ho pensato, nemmeno per un attimo, a quello che possono essere i ragazzi quando escono da questo posto, oggi non m’interessa. Mi è bastato però vedere cosa sono in questo posto e una cosa la penso: Sono Meravigliosi.
Un gruppo che lavora per un unico obbiettivo, il soddisfacimento delle esigenze comuni attraverso la complessa e laboriosa restaurazione di pezzi ferro. Senza se e senza ma. Chiara e Giaccio educano e non hanno bisogno di troppa pazienza, loro hanno capito il verso. I bambini vanno indirizzati non accompagnati, le alternative basta mostragliele e poi lasciarli liberi di scegliere. Esistono poi posti dove le cose funzionano e in genere là dove riusciamo a capire che l’Io senza Noi non esiste le cose funzionano ancora meglio.
A Giaccio, a Chiara e ai loro ragazzi, Giuseppe Divaio.