Sabotare: verbo transitivo che ha il significato figurato di “intralciare la realizzazione di qualche cosa, fare in modo che un disegno o un progetto altrui non abbia successo.”
Ebbene, lo scrittore campano Erri De Luca rischia fino a 5 anni di reclusione per aver usato questo verbo. L’accusa è quella di istigazione a delinquere.
Ma qual è il contesto di questa follia del bavaglio?
La frase incriminata è: “La TAV va sabotata”, e tanto basta a capire perché molti hanno interesse a mettere a tacere le voci, soprattutto quelle imminenti, di quanti si schierano circa la questione.
Le proteste per impedire la costruzione delle linea ferroviaria tra Torino e Lione va avanti, in Val di Susa, da venti lunghi anni ed è così motivata: il costo della tratta è sproporzionatamente elevato rispetto alla sua utilità e l’impatto ambientale sarebbe troppo forte; per questo -secondo i contestatori- la creazione della tratta ad alta velocità sarebbe un fulgido esempio di una gestione errata della spesa pubblica e della tutela della salute pubblica, nonché baluardo dell’interesse di pochi a scapito dei più.
Eppure De Luca non è stato processato, il 28 gennaio scorso nel tribunale di Torino, per aver preso parte a qualche manifestazione -magari violenta- del movimento NO TAV.
Lo scrittore è stato rinviato a giudizio per aver reso nota la propria opinione, per altro a titolo personale, e per aver scelto il già citato verbo sabotare, adoperato -come ricorda lo stesso Erri De Luca- da altri grandissimi pensatori ostacolati dal potere come Gandhi e Mandela.
Viene quindi naturale interrogarsi circa la libertà di espressione effettivamente garantita in Italia.
Perché un Paese che accetta come valida la denuncia fatta dalla LTF (società che sta costruendo la TAV) a un letterato, non garantisce un principio enunciato nella sua stessa Costituzione.
Quindi, in virtù del medesimo principio invocato qualche settimana fa, quando ci era tanto cara la libera espressione ed eravamo tutti Charlie Hebdo, oggi dovremmo essere tutti Erri De Luca.