Napoli, croce e delizia. Chiunque ne parli, pondera le parole in base all’esperienza: è il caso della giornalista del noto magazine britannico, il “Financial Times”.
Rachel Sanderson è, infatti, la reporter che ha intrapreso un viaggio ed un relativo approfondimento sull’economia napoletana, occupandosi della fiorente ed elegante sartoria.
La Sanderson nel suo articolo narra il suo trip nei principali laboratori e racconta scrupolosamente il suo punto di vista, una specie di rovescio della medaglia.
La giornalista si dimostra stupita e affascinata dalla sartoria che ha conquistato il mondo intero, ma rimane perplessa sulla condizione sociale della città. Dopo aver intervistato i vari imprenditori, ragiona con loro sulla situazione economica e sull’andamento del mercato lavorativo locale.
“Napoli e la sua sartoria – si legge nell’articolo della giornalista – sono l’emblema dei contrasti di Napoli: la città è tormentata dal declino e dal degrado, dalla criminalità organizzata, mentre i sarti riescono a trovare la bellezza reale di Napoli e proprio l’idea della bellezza salverà Napoli e l’Italia intera”, ha scritto la giornalista inglese. Attolini, Kiton, Marinella e Rubinacci sono molto apprezzati a livello internazionale e hanno clienti anche a New York, Londra, Mosca, Hong Kong e Medio Oriente. A Casalnuovo c’è invece il laboratorio a conduzione familiare di Cesare Attolini, aperto dal 1830 e che ha firmato le giacche indossate dal protagonista del film “La Grande Bellezza”, Toni Servillo.”
Contraddizioni, limiti, beltà e vecchie glorie: nubi, di fumo e magia, che hanno imparato a convivere in un calderone armonico che, visto con gli occhi di chi scruta ed osserva la città “da fuori” disarma, sconvolge, sorprende, rattrista, affascina, lascia perplessi.
Napoli, del resto, è soprattutto questo e non lo scopriamo di certo oggi: difficile da capire, difficile da spiegare. Difficile da vivere.