Paola Perego è stata condannata ai fini civili dalla Cassazione per diffamazione. I fatti risalgono al 16 maggio 2006 quando era conduttrice della trasmissione di Canale 5 Verissimo.
Condannata perché in quell’occasione chiamò “bastardi” cinque uomini sul cui capo pendeva l’accusa di omicidio sull’uccisione di un ragazzino e poi successivamente del tutto stagionati.
L’omicidio in questione è quello del tredicenne Francesco Ferreri, avvenuto a Barrafranca (Enna) il 16 dicembre del 2005; dopo le assoluzioni dei cinque uomini in appello e in Cassazione, ancora oggi quel delitto non ha un colpevole.
Insieme alla Perego è stato condannato al risarcimento anche un giornalista che nella stessa puntata aveva utilizzato il termine “assassini” riferendosi agli arrestati.
Secondo la Cassazione, la Perego e il cronista hanno superato “il limite della continenza” e non possono invocare la giustificazione di averlo fatto nel nome “del diritto di cronaca e di critica” in quanto hanno pronunciato espressioni “gravemente infamanti e inutilmente umilianti” che sono trasmodate “in una mera aggressione verbale” degli indagati.
Nella sentenza 4158 della Cassazione, depositata ieri 28 gennaio 2015, si legge che “la circostanza che nei confronti della persona sottoposta ad indagini sia stata specificamente emessa una ordinanza custodiale senz’altro non attenua la cautela che deve essere osservata nella propagazione della notizia, pur sempre trattandosi di uno sviluppo delle indagini preliminari che va monitorato e verificato nel tempo, senza ingenerare nell’ascoltatore il convincimento della colpevolezza dell’indagato”. Perché “non è consentito rappresentare la vicenda in termini diversi da ciò che è realmente, ossia un mero progetto di accusa attorno ad ipotesi di illecito e di penale responsabilità, che resta però da verificare”.
La Cassazione ha inoltre evidenziato che la Perego aveva “consapevolezza” che l’espressione “bastardi” fosse “offensiva” in quanto subito dopo averla pronunciata la conduttrice aggiunse “Il direttore di Verissimo non vuole che lo dica, ma è l’unica cosa carina che mi vien da dire!”
Una vicenda che rilancia e sottolinea l’importanza del rispetto delle regole alla base del fare informazione”, alle quali si è tenuti ad attenersi, alle quali, a dispetto dell’impulsività e dei sentimentalismi, si deve tener fede, per preservare il diritto d’informazione scevro da qualsivoglia condizionamento di carattere emotivo e/o di qualunque altra forma e natura.
Una vicenda che ricorda che anche questo lavoro non può e non deve essere improvvisato. Ed è bene rilanciare questo concetto nell’era in cui, chiunque smanetti con un blog, si sente in dovere di appropriarsi arbitrariamente del diritto e del potere di sparare sentenze, di sparare a zero, ma soprattutto, di sparare cavolate. Ancor di più, appare lecito ed opportuno evidenziare quanto più delicata e complessa si riveli la vicenda in relazione ad episodi di cronaca nera, quali omicidi cruenti, come in questo caso.
Sottoporre alla gogna mediatica un potenziale indagato, prima ancora che chi di dovere emetta una sentenza che ne certifichi l’effettiva colpevolezza, può sortire effetti devastanti sulla vita di costui. Ed è sempre opportuno fare i conti con tale realtà dei fatti.
Appresa la notizia dell’avvenuta condanna, la conduttrice televisiva non ha rilasciato alcuna dichiarazione.
E, forse, le sarebbe tornato più utile rifugiarsi anche in passato in un’analoga condotta.