La signora Alex Schiller ha sganciato una vera bomba.
“I napoletani lo fanno meglio. Per cui, se avete una vagina e volete usarla, andate a Napoli”. L’illustre dottoressa descrive il capoluogo campano come “un paradiso in cui, per ogni donna single, ci sarebbero 10 uomini disponibili”.
No, io non ci sto.
Tante, tantissime altre donne napoletane sposeranno la mia tesi e anche se – come troppo raramente accade – dalla suddetta e singolare recensione, emerge un quadro di Napoli più che positivo, è doveroso apportare una sacrosanta rettifica.
Lungo il suo cammino, evidentemente, la signora avrà avuto la fortuna di incontrare tutti aspiranti tronisti, focosi ed affascinanti, ma ogni “signorina qualunque” residente a Napoli, sa bene che tra quei 10 uomini disponibili, si celano temibili minacce.
In primis, “il cuozzo”: una creatura dalla pelle perennemente ustionata dalle lampade, la pettinatura che oscilla tra il fonato e il doppio taglio, a seconda delle regole imposte dalla moda del momento, un fumetto di tatuaggi, patacche brillantinose che luccicano in ogni dove, pantaloni dai cavalli sempre più bassi o corti alla caviglia, in perfetto “stile allagamento”, catene che sorreggono al collo crocifissi a grandezza pressoché naturale, una canzone neomelodica sempre pronta per l’uso, ma, soprattutto l’improprio ed orgoglioso sfoggio di un pessimo feeling con l’italiano, grazie al quale genera “postegge” da brividi: “Scusa, ti pozzo mettere lo sgambetto, così vedo una stella cadente?” oppure “Scusa, ti pozzo chiedere un’informazione? Mi sai dire quel è la via che porta al tuo cuore?” e perfino “Scusami, fata, ti pozzo regalarti la bacchetta magica?” fino a generare autentiche ed ancor più esplicite perle a sfondo sessuale che, per igiene, vi risparmiamo.
Allora, vi chiedo: se la Schiller avesse avuto un incontro ravvicinato con un cuozzo non avrebbe sentito il bisogno di raccontare al mondo la sua “scena da una posteggia”?
In verità, la portata dell’argomento è talmente ampia che sul cuozzo si potrebbe scrivere un libro, tuttavia, costui non è l’unica specie maschile degna di nota che troneggia all’ombra del Vesuvio. È più giusto e veritiero, infatti, affermare che egli divide il podio con il suo antimero opposto: la ricciola, alias “il pesce pigliato con la botta”.
Costui, a differenza del suo antagonista, non segue la moda, ma ha un suo stile ben definito che si tramanda, immutato, da secoli e nei secoli, di generazione in generazione. Mocassini o scarpe da ginnastica modello Titanic, sulle quali si adagia un jeans accartocciato, camicia e maglioncino, anche a ferragosto, rigorosamente a scacchi o a strisce. Capelli pettinati e curati. Occhiali da vista. Niente tatuaggi, collane e cianfrusaglie. “Mamma non vuole.”
Già. La ricciola è destinata a morire abbracciando un primato: la parola che avrà pronunciato più spesso nel corso della sua vita sarà “mamma”. La prima, l’ultima, la più ricorrente. Quella che pronuncia ogni tre parole, quella della quale non si disferà mai. È mamma a scegliere e comprare i vestiti, sempre e per sempre e questo spiega, ma non ne giustifica lo stile “vintage”. Mamma è l’unica chiamata persa che non appare mai sul display, perché “guai a non rispondere dopo il secondo squillo!”
Ma, anche in questo caso, se la Schiller avesse “catturato una ricciola” non avrebbe saputo esimersi dal raccontare che un’impacciata e timida creatura, gli si è parata contro a quattro di bastoni, dichiarando: “Fammi quello che vuoi” senza mai professare alcun tipo di cenno di adesione, lungo l’intera durata della performance. E l’unico elemento che le ha conferito la certezza che fosse vigile e partecipe all’atto è tristemente insito nella richiesta: “Non lasciarmi segni, altrimenti mamma si accorge che ho fatto le cose sporche!”
Allora, cara Alex Schiller, se, nella tua rete, tra i dieci campioni da te prelevati, non è rimasto imbrigliato né un cuozzo, né una ricciola, a nome di tutte le donne napoletane, ti chiedo di rendere noto il mare da te saccheggiato!