Parte da Asmel, l’associazione nazionale per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali che riunisce quasi duemila comuni italiani ed ha a Napoli la sua sede operativa, la rivolta dei piccoli comuni all’accorpamento coatto delle funzioni comunali. Dal 1 Gennaio 2015, è entrata in vigore la legge 135/2012 che impone l’esercizio obbligatorio in forma associata di tutte le funzioni fondamentali dei Comuni con meno di 5.000 abitanti (3000 per quelli delle aree montane) ed il Ministero degli Interni ha immediatamente emanato una circolare per sollecitare i Prefetti ad intervenire per imporre il rispetto della norma nei Comuni inadempienti, previa diffida, attraverso la nomina di Commissari “ad acta”.
Prontissima ecco la risposta dei piccoli comuni guidati dall’associazione Asmel, che ha immediatamente fatto partire una lettera ai prefetti con due contestazioni precise.
Innanzitutto il difetto di potere dei Prefetti, perché l’art. 120 della Costituzione prevede che “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”.
“Difficilmente – spiega Francesco Pinto, presidente di Asmel – si può immaginare che i piccoli comuni si macchino di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o comunitari, ovvero costituiscano un pericolo grave per la incolumità e la sicurezza pubblica od ancora minino l’unità giuridica del Paese. I Prefetti sarebbero perciò chiamati ad intervenire a tutela dell’unità economica del Paese, in realtà un assunto assolutamente falso come dimostrano gli ultimi dati Istat sulle spese dei comuni italiani che probabilmente ignorava chi compulsivamente negli ultimi anni legiferava con l’obiettivo di una spending rewiev non sempre intelligente e produttiva”.
I dati sulla spesa evidenziano l’irragionevolezza della norma: i piccoli comuni hanno una spesa annua di 852 euro pro capite a fronte della media nazionale di 910 euro e della media dei grandi comuni di 1256 euro
Ed allora ecco che nella lettera ai Prefetti Asmel ricostruisce puntualmente quello che è il quadro delle spese dei Comuni italiani, dal quale emerge che in realtà i piccoli comuni sotto i 5.000 abitanti hanno una spesa media di 852 euro per abitante decisamente inferiore alla media generale di 910 euro per abitante dei comuni italiani e clamorosamente inferiore alla media di spesa di 1256 euro per abitante dei grandi comuni con oltre 60.000 abitanti. “Esattamente a dimostrazione del fatto – evidenzia Pinto – che non c’è affatto una correlazione tra piccole dimensioni del comune e costi di gestione ma c’è invece una correlazione opposta, perché è proprio nei piccoli comuni dove c’è un più agevole e diretto controllo sociale che è più semplice contenere i costi di spese ed anche controllare che non ‘sfuggano’ all’attenzione scandali diffusi come quelli romani di ‘Mafia Capitale’, solo per citare l’ultimo. Perché nei piccoli comuni per un sindaco è difficile poter sostenere di non sapere quel che accade nella macchina comunale”.
La battaglia legale per l’incostituzionalità della norma per la violazione del principio di autonomia e del principio di ragionevolezza
Asmel nella sua lettera spiega ai Prefetti anche di essere pronta a sostenere finanziariamente la battaglia di incostituzionalità della norma sull’accorpamento coatto delle funzioni comunali ed anzi invita i Sindaci a subire il provvedimento di commissariamento per impugnarlo davanti al giudice amministrativo che potrebbe così sollevare il dubbio di costituzionalità della norma.
“La norma – spiega Francesco Pinto – è infatti incostituzionale perché cozza contro il principio di autonomia dei Comuni sancito dagli artt. 5 e 114 e seguenti della nostra carta costituzionale”. Il testo unico degli Enti Locali prevede espressamente le modalità di gestione associata di servizi e funzioni ed individua nei Consigli Comunali gli organi deputati a deliberare in merito. Nel caso che questi decidano di pervenire a forme di gestione in forma associata attraverso le Unioni di Comuni o le Convenzioni sono chiamati a deliberare le modalità, le funzioni e/o i servizi da associare, nonché i Comuni con i quali esercitarla.
La norma contestata, invece, cancella qualsiasi autonomia dei Consigli dettando di fatto le modalità di individuazione dei Comuni con cui interagire, e le funzioni ed i servizi da accorpare. “In altri termini ed in altra fase storica – ricorda Pinto – ci aveva provato il regime fascista a portare avanti una simile operazione imponendo l’accorpamento di migliaia di Comuni che, puntualmente, dopo la liberazione vollero riappropriarsi della propria identità”.
Ma come fa notare Asmel nella lettera ai Prefetti sotto il profilo della costituzionalità non c’è solo la lesione del principio di autonomia dei Comuni ma, per quanto già spiegato sul tema della spesa dei Comuni, la norma cozza anche contro il principio di ragionevolezza, in quanto invece di perseguire gli obiettivi di risparmio sbandierati, produce maggiori oneri per il contribuente.
“Il principio di ragionevolezza – spiega Pinto – è considerato dalla Corte Costituzionale un corollario del principio di uguaglianza, e presuppone che le disposizioni normative contenute in atti aventi valore di legge siano adeguate o congruenti rispetto al fine perseguito dal legislatore. Si determina, pertanto, violazione del principio di ragionevolezza, quando si riscontra una contraddizione all’interno di una disposizione legislativa, oppure tra essa ed il pubblico interesse perseguito. Nel caso si accerti l’irragionevolezza della legge, essa sarà affetta dal vizio dell’eccesso di potere legislativo, e, in quanto tale, potrà essere ritenuta costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale”.
La proposta Asmel: accorpamento dei servizi, autonomia nelle funzioni e previsione di tetti di spesa comunale
Ma c’è anche la pars construens nell’intervento di ASMEL che, sostenendo che la norma è sbagliata perché punta indistintamente all’accorpamento di funzioni e servizi, con uno svuotamento totale e appunto incostituzionale della potestà ed dell’autonomia comunale, propone di lasciare in capo agli Amministratori locali le funzioni che rappresentano le competenze istituzionali dell’Ente e favorire invece l’accorpamento dei servizi che potrebbero anche essere gestiti a livello intercomunale laddove i comuni ne ravvisino la convenienza. E come evidenzia Pinto, “vi sono già molti esempi virtuosi in questo senso, laddove svariati comuni piccoli e non, anche non necessariamente legati da contiguità territoriale, proprio perché l’accorpamento non va imposto ma deve essere scelto in base alle assonanze di interessi, sono spesso uniti per fornire servizi di vario genere, da quelli turistici a quelli culturali”.
In definitiva, spiega Pinto “la norma si dovrebbe limitare a definire dei parametri di costo entro i quali gli Amministratori, eletti dai cittadini e non espropriati delle proprie responsabilità, sarebbero chiamati a decidere la modalità di gestione dei servizi ritenuta più efficace ed efficiente. E del resto anche i numeri di spesa dimostrano che gli Amministratori locali nei piccoli Comuni, proprio perché chiamati a rispondere ai cittadini in un contesto di “controllo sociale di prossimità”, sono molto più saggi e responsabili di quanto ritengano i mandarini romani, responsabili di una normativa eccessivamente prescrittiva, dirigista e centralista, perennemente “in progress” e mille miglia lontana dalla realtà e dalle esigenze dei territori”.
Asmel coglie anche l’occasione per “esprimere la sua massima solidarietà al Sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, un autentico campione della politica del fare e della buona amministrazione”, condannato in primo grado per abuso di ufficio ad un anno di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici seppur con pena sospesa. Nonostante il nostro ordinamento preveda la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio il Tribunale ha dovuto comunque trasmettere la sentenza al Prefetto che dovrà provvedere a sospendere il Sindaco di Salerno in base alla recente legge Severino. “Massimo rispetto alla magistratura, chiamata ad applicare le leggi – spiega Pinto – ma la politica deve predisporre norme più vicine al senso comune, altrimenti si allontanano ancor più i cittadini dalla cosa pubblica. L’innegabile illegalità diffusa si dovrebbe combattere con la certezza del diritto ed invece, molto spesso, leggi troppo arzigogolate e pelosamente prescrittive ottengono il risultato opposto a quello che si intenderebbe raggiungere. Perciò Asmel invita tutte le Associazioni degli Enti Locali a mobilitarsi a tutela dei Sindaci e degli amministratori locali, impegnati quotidianamente a rispondere alle attese dei cittadini e costretti a scegliere tra lo stare fermi o affrontare continui slalom tra norme tortuose, di difficile lettura e spesso contraddittorie e in molti “pericolose” come dimostra il caso De Luca”.