Un’inedita serie di “Gomorra” romanzata dalla malavita reale è emersa grazie ad una logorante e sfiancante indagine culminata con l’ordinanza che ha fatto scattare le manette per circa trenta affiliati del clan Moccia.
A complicare il buon esito delle indagini è sopraggiunta l’alleanza tra i gruppi di Afragola che mostra il nuovo volto della Camorra, capace di spartire il territorio e le competenze criminali, ma solo dal punto di vista strettamente geografico, per beneficiare di una cassa comune e, come hanno accertato i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia, si era radicato tra gli affiliati un inaspettato senso della solidarietà, sia in termini di totale disponibilità, nei momenti di difficoltà per i singoli appartenenti, sia nell’assicurarsi vicendevolmente il necessario soccorso, all’evenienza, come si evince dalle intercettazioni ambientali dei fratelli Cervi, detenuti che parlano con la mamma sulla puntualità del loro stipendio e delle parcelle pagate agli avvocati dal clan. Una tabella stipendiale che prevedeva per i senatori del clan, Angelino Giuseppe, Francesco Favella, Michele Puzio, Antonio Cennamo – detto “Tanuccio ‘o malommo” – uno stipendio contemplato tra i cinquemila e i seimila euro al mese, mentre per tutti gli altri affiliati, il compenso mensile variava tra i 1.500 e i 2.000 euro, a seconda del grado di anzianità di affiliazione.
Le medesime norme retributive vigenti in un normale contesto lavorativo.
Almeno così come accadeva prima che lo Stato rimanesse impelagato nella crisi. “L’altro Stato”, invece, non conosce mai crisi e proprio quell’innata ed incondizionata capacità di assicurare un’entrata fissa, cospicua e sicura, ne rappresenta, da sempre, la più solida ed appetibile attrattiva.
La Camorra è l’unico Stato che corrisponde uno stipendio per i detenuti e i loro familiari e che provvede anche al pagamento delle spese legali.
Viene da sé che per garantire, prima di tutto, uno stipendio a tutti i sopracitati membri della famiglia era necessario intelaiare un business capace di mettere in piedi un’autentica “macchina da soldi”. Quindi, per realizzare i centomila e più euro al mese utili per pagare i «dipendenti» del clan, soprattutto i detenuti per reati più gravi con pene lunghe da scontare, – all’interno dei quali si attanaglia sempre il pericolo “di conversione” che potrebbe indurli a diventare collaboratori di giustizia – i due boss di Casoria e Afragola, aveva formato più di una squadra di malavitosi che per ottenere quanto richiesto, si avvalevano di modi alquanto ruvidi e soprattutto utilizzavano una «comunicazione» diversa, senza mai pronunciare il nome del clan, ma un generico «Mettetevi a posto con gli amici di Casoria». Così come confermato da ben quindici imprenditori, caduti nella rete degli estorsori e intercettati dai carabinieri.
Per questo, quando si presentavano nei cantieri, al suddetto monito, seguiva anche l’ordine perentorio di bloccare all’istante i lavori per evitare di essere uccisi a colpi di pistola. Qualche imprenditore ha pure resistito. In quel caso è intervenuta la «squadra della morte», che letteralmente prendeva di peso la vittima e la portava in un garage di Casoria, dove chi si rifiutava di pagare, oltre ad accettare l’imposizione del pizzo, – con rate tra i cinquemila e settemila euro – doveva sborsare anche qualche centinaio di euro in più come tassa per il rifiuto. E chi non disponeva dei soldi sufficienti per pagare, veniva portato dagli amici usurai che per ogni euro di prestito, in cambio, ne chiedevano trenta.
I soldi necessari per pagare gli stipendi agli affiliati, venivano conseguiti mettendo sotto torchio tutte le attività imprenditoriali, proprio tutte: dai lavori pubblici o privati, alle aziende addette alla manutenzione stradale e nei cimiteri, fino ai venditori ambulanti di frittelle e crocché che pagavano una tassa alla camorra di cento euro a settimana. Persino i contrabbandieri di sigarette agli angoli delle strade, erano costretti a versare tra i cinque e i dieci euro la giorno nelle casse del clan.