È senza dubbio “la notizia” del giorno, quella narrata dal video divulgato da “Il Mattino” e che ritrae un parcheggiatore abusivo mentre parla con una persona. I modi e i toni apparentemente pacati, sovvertiti in un lampo da una sterzata di feroce violenza: il parcheggiatore colpisce con vigore al volto l’uomo che ha di fronte. Il primo colpo gli fa perdere i sensi e l’uomo cade per terra. Però, il parcheggiatore, non soddisfatto, gli assesta altri due colpi al viso, mentre il malcapitato si accascia, battendo violentemente la testa sul selciato.
Pochi, concitati e brutali attimi.
Il video in questione è stato registrato dalle telecamere di controllo del garage Loreto di via Einaudi, la strada che costeggia l’ingresso laterale dell’ospedale Loreto Mare.
Un video che sconcerta, mortifica, disarma, intristisce, ma che, soprattutto, fa riflettere.
Non solo per quel senso di orrore che si appiccica lungo le intelaiature della coscienza e che palesa una delle brutture dell’umanità più difficili da accettare e digerire, ma, ancor di più, per l’omertosa e ragguardevole diffidenza/indifferenza che fagocita quelle immagini.
Gente comune, persone perbene, medici in camice, donne con le buste della spesa: nessuno urla, nessuno interviene, nessuno pensa neanche di allertare quantomeno i carabinieri, estraendo il cellulare.
In nessuno prevale “l’impulso alla solidarietà”. Piuttosto figurano tutti manichini sopraffatti dall’arido “istinto di sopravvivenza”.
L’aggressione mostra una violenza irreale, truculenta, belluina. Pugni sferrati “per far male” per sottolineare un egemone supremazia.
Quello che le suddette immagini devono inequivocabilmente consegnare è che solo per effetto di un’accidentale casualità quel video non ritrae una tragica morte. Già, perché se quell’uomo caduto a peso morto, privo di conoscenza, avesse battuto la testa su uno spigolo o su un marciapiede, sarebbe morto.
La vicenda, in verità, era già nota alle forze dell’ordine e alla magistratura, tuttora sono in corso delle indagini, volte a fare chiarezza sull’aggressione, fino ad oggi, imbavagliata nel silenzio, perché nessuno doveva venire a conoscenza di questo drammatico video.
Dopo l’aggressione, il parcheggiatore abusivo, aiuta l’uomo a risollevarsi e lo conduce all’interno dell’ospedale dove, probabilmente viene sottoposto alle prime cure. Eppure, secondo i primi accertamenti, non risulta nessun intervento medico a quel giorno e a quell’ora su una persona aggredita. Insomma, un’abominevole vicenda che si macchia finanche di un alone di mistero. Sembra che il nome di quel parcheggiatore sia già agli atti, anche se la notizia non trova conferma da parte degli uffici della polizia municipale che si tumula dietro il più assoluto riserbo, tanto da non voler confermare nemmeno di essere incaricata dell’indagine in corso. Ma, soprattutto, il grande quesito al quale nessuno è tuttora in grado di dare una risposta è: chi è l’uomo aggredito?
L’immaginario collettivo, giungerebbe spontaneamente a dedurre che si potrebbe trattare di un cliente.
Eppure non è così scontato.
Potrebbe altresì trattarsi di un “competitor”: un altro parcheggiatore abusivo e pertanto, tra i due, potrebbe essere sorto un diverbio alimentato da ben altre motivazioni.
“Un regolamento di conti tra colleghi” o “una dura lezione inferta ad un cliente scellerato”?
O forse, alla base di quel feroce pestaggio c’è dell’altro?
L’episodio risale all’estate scorsa e nel frattempo, in quella zona, teatro di quel macabro episodio, i parcheggiatori abusivi svolgono regolarmente il loro “lavoro”, indisturbati e impuniti.
Quando arrivano le pattuglie della polizia municipale si fanno identificare, consegnano il denaro che hanno in tasca (che viene confiscato e resta agli atti del procedimento) e poi, dopo un’ora tornano al loro posto.
Ancora lì, a svolgere il loro “lavoro”, indisturbati e impuniti.
La colpa è della legge, troppo tenera e blanda al cospetto di un illecito tato diffuso.
La colpa è nostra, perché al cospetto di “Dottò, una cosa a piacere” non denunciamo l’episodio alle autorità competenti, ma allunghiamo qualche moneta in quelle mani, rendendoci complici, più o meno consapevoli, di un sistema, marcio e saldamente radicato nel costume della nostra società; trasformandoci in un tassello, più o meno consapevole, di quell’ingranaggio, capace perfino di sferrare atroci colpi, densi di inumana violenza.
Complici, più o meno consapevoli, come quelle sagome che fanno da contorno a quelle immagini.