Parlare della filmografia di Francesco Rosi significa trattare argomenti scottanti e quanto mai attuali anche se parliamo di film girati quasi mezzo secolo fa.
Francesco Rosi usava il cinema come un’arma da combattimento. La sua opera ha trasformato l’indagine sociale e politica in un vero e proprio genere cinematografico attraverso un linguaggio semplice e schietto.Rosi non ha mai avuto paura di raccontare il buio delle connivenze che hanno oscurato e che ancora purtroppo oscurano l’Italia.
Dopo aver lavorato come aiuto regista a fianco di Luchino Visconti,Mario Monicelli e Michelangelo Antonioni, Rosi gira nel 1958 La sfida il suo primo lungometraggio mentre l’anno successivo si troverà a dirigere uno dei grandi attori italiani: Alberto Sordi ne I magliari, del 1959, racconta la storia di un immigrato che, dalla Germania all’Italia, si troverà faccia a faccia con la camorra.
Gli anni Sessanta danno inizio al filone cinematografico d’inchiesta: Rosi è interessato all’evoluzione della società italiana, nel bene e soprattutto nel male. Questa volta dalla sua Napoli i riflettori li punta sulla Sicilia. Nel suo capolavoro Salvatore Giuliano, del 1962,racconta i fatti che hanno condotto alla morte del bandito siciliano il cui corpo fu rinvenuto a Castelvetrano nel luglio del 1950. L’opera di Rosi fece scuola grazie all’innovativo uso del flashback e all’utilizzo di tre diversi toni di bianconero: uno per la rievocazione storica, un secondo per la morte di Giuliano, un terzo per il processo di Viterbo.Presentato in concorso al Festival di Berlino 1962, vinse l’Orso d’argento per il miglior regista nonché tre Nastri d’argento.
L’anno dopo Rosi lavorerà al suo secondo capolavoro: Le mani sulla città, un’incursione nell’Italia del boom economico e dei palazzinari. Il film torna a raccontare la sua Napoli, lo sfruttamento edilizio, la collusione tra malavita e Stato. La pellicola otterrà il Leone d’Oro al Festival di Venezia e due candidature ai Nastri d’Argento come miglior regista e miglior soggetto, scritto insieme a Raffaele La Capria.
Rosi entra pieno titolo tra i grandi narratori italiani, riconoscimento che culminerà con un David di Donatello nel 1965, ricevuto insieme a Vittorio De Sica, come migliore regista.
Il caso Mattei, del 1971, è il film d’inchiesta nella sua forma più alta: Rosi, che da ragazzo aveva iniziato a fare il giornalista,è autore di un’accuratissima ricostruzione della misteriosa morte di Enrico Mattei (interpretato da Gian Maria Volontè), presidente dell’ENI, ucciso in un attentato aereo il 27 ottobre 1962.
Nel 1973 dirigerà ancora una volta Gian Maria Volontè in Lucky Luciano, film che attraverso il racconto della vita del malavitoso è un attacco al mondo politico e alla sua corruttibilità e che gli valse la vittoria al Festival di Cannes.
Un unico momento di stacco dal cinema d’inchiesta arriva con la fiaba C’era una volta (1967), che vede come protagonista una giovanissima Sophia Loren e Omar Sharif.
Nel 1975, traspone il romanzo di Leonardo Sciascia “Il contesto” nel film Cadaveri eccellenti, un altro capolavoro di intrighi e denuncia. Meritatissimo il David di Donatello come miglior regista, bissato nel 1979 da Cristo si è fermato a Eboli (trattodal romanzo di Carlo Levi) sempre con Volonté come protagonista, che diventa il simbolo dello scontro socioculturale Nord/Sud.
Nel 1997 riesce a portare sul grande schermo La tregua tratto dal romanzo di Primo Levi che gli farà guadagnare il suo ultimo David di Donatello come miglior regista.
Nel Duemila, dopo decenni di assenza, torna alla regia teatrale, e in particolare di alcune opere del repertorio di Eduardo De Filippo (“Napoli milionaria”, “Le voci di dentro”, “Filumena Marturano”) interpretate da Luca De Filippo. Nel 2008, ottiene l’Orso d’Oro alla carriera al Festival di Berlino e persino la Legion d’Onore. Il 12 maggio 2012, la Biennale di Venezia lo innalza con il Leone d’Oro alla carriera in occasione della 69° edizione della Mostra.