A un mese dalla morte di Pino Mango, la moglie, Laura Valente, diffonde un messaggio sulla pagina ufficiale Facebook del cantante lucano scomparso lo scorso 8 dicembre a Policoro, durante un concerto. Laura, sostenuta dai figli Filippo e Angelina, parla pubblicamente del tragico lutto che ha segnato per sempre le loro vite. Amore, dolore, gratitudine, tormento, sconforto, speranza, commozione: nelle parole della signora Mango sono leggibili innumerevoli, contrastanti, ma inequivocabilmente sincere emozioni:
Cari amici, intanto un grande abbraccio, forte come il peso schiacciante di questo dolore e lungo come questo brutto sogno dal quale non riesco a svegliarmi.
Mi sembra necessario, dopo un mese di silenzio assordante, riaprire le pagine del sito, che si è sempre alimentato della vostra energia, della vostra assiduità e del vostro amore e che Pino coltivava con la cura che si riserva alla pianta prediletta del proprio giardino.
E con questa stessa attenzione lui viveva il suo “lavoro”, che non ha mai definito tale, ma che in realtà affrontava quotidianamente con un senso di responsabilità e un rispetto meticolosi, sia nei confronti del suo talento che, specularmente, del suo pubblico.
Ma quando scendeva dal palco ed entrava nella sua casa di Sant’Antuono 101, la casa dove è nato e dove viviamo, allora era “nostro”, solo nostro, così come i vostri padri lo sono per voi, come lo sono i vostri fidanzati o i vostri mariti.
Infatti, a parte alcuni rari episodi molto circostanziati, io non ho mai lavorato con lui, così come, ovviamente, Filippo e Angelina. Noi eravamo, siamo semplicemente la sua famiglia.
Il nostro disperato smarrimento purtroppo non può essere né raccontato né condiviso.
Ma Pino, oltre ad essere un padre attento ed amorevole e l’unico amore della mia vita, era anche un grande, immenso artista, che aveva il dono di coniugare anima e corpo riuscendo ad esprimere, con l’uso della sua voce meravigliosa, tutto l’inesprimibile del mondo emozionale. C’era magia nell’aria quando iniziava a cantare, fosse su un palco davanti a migliaia di persone, o al pianoforte in soggiorno, vicino al camino. E’ innegabile. Sapeva sprigionare un’energia potente e commovente.
Per questa ragione mi sento in dovere di farmi forza e scrivervi, oggi, per la prima volta, in questo spazio, che non è il mio, ma nel quale, con la speranza di non essere invadente né irrispettosa, vorrei davvero riuscire in futuro a fare in modo che la sua opera venga sempre più valorizzata e considerata come merita.
Ora è presto per me, scusatemi, non ho ancora le idee chiare sul da farsi, ma vi prego di darmi un po’ di tempo.
Sento che insieme a voi, a Filippo ed Angelina e a tutti coloro che Pino amava e stimava e che aveva scelto come compagni di lavoro e di vita negli ultimi anni, riuscirò a trovare la giusta strada per continuare a rendere onore alla sua straordinaria produzione artistica e alla sua figura.
Un breve passaggio credo vada fatto anche riguardo la polemica sollevata dal video di Policoro, che ho visto e rivisto non so quante volte, nonostante fossi lì quella sera, per cercare di capire come mai nessuno di noi avesse capito, per cercare di capire se lui avesse capito, per cercare di capire se fosse giusto lasciare il video in rete o, in quanto unici eredi legittimi a tutelare l’immagine artistica e personale di Pino, pretenderne la rimozione immediata, come tanti di voi avevano auspicato.
Cari amici, ancora non lo so. Una parte di me non tollera che i ragazzi possano vedere la morte del padre spiattellata pubblicamente, ma un’altra parte di me continua ad avere dei dubbi.
So solo che, persa in queste disperate riflessioni, all’improvviso, qualche sera fa, mi sono ritrovata a pensare ad un libro che amo tanto e che di tanto in tanto rileggo, e in particolare mi è venuto in mente il suo commovente e bellissimo finale: l’ultima pagina de “Il Piccolo Principe”:
“…Quella notte non lo vidi mettersi in cammino.
Si era dileguato senza far rumore. Quando riuscii a raggiungerlo camminava deciso, con un passo rapido. Mi disse solamente:
“Ah! Sei qui…”
E mi prese per mano. Ma ancora si tormentava:
“Hai avuto torto. Avrai dispiacere. Sembrerò morto e non sarà vero…”
Io stavo zitto.
“Capisci? E’ troppo lontano. Non posso portare appresso il mio corpo. E’ troppo pesante”:
Io stavo zitto.
“Ma sarà come una vecchia scorza abbandonata. Non sono tristi le vecchie scorze…”
Io stavo zitto.
Si scoraggiò un poco. Ma fece ancora uno sforzo:
“Sarà bello, sai. Anch’io guarderò le stelle. Tutte le stelle saranno dei pozzi con una carrucola arrugginita. Tutte le stelle mi verseranno da bere…”
Io stavo zitto.
“Sarà talmente divertente! Tu avrai cinquecento milioni di sonagli, io avrò cinquecento milioni di fontane…”
E tacque anche lui perché piangeva.
“E’ là. Lasciami fare un passo da solo”.
Si sedette perché aveva paura.
E disse ancora:
“Sai…il mio fiore…ne sono responsabile! Ed è talmente debole e talmente ingenuo. Ha quattro spine da niente per proteggersi dal mondo…”
Mi sedetti anch’io perché non potevo più stare in piedi. Disse:
“Ecco…è tutto qui…”
Esitò ancora un poco, poi si rialzò. Fece un passo. Io non potevo muovermi.
Non ci fu che un guizzo giallo vicino alla sua caviglia. Rimase immobile per un istante. Non gridò. Cadde dolcemente come cade un albero. Non fece neppure rumore sulla sabbia.”
Ecco, se può esistere bellezza in una fine, io qui la vedo.
Come sinceramente la vedo nel video di Policoro.
Spesso Pino aveva detto a me e ai ragazzi, sorridendo: “Se mai dovessi morire, vorrei che ciò avvenisse su un palco, mentre sto cantando, mentre faccio il mio lavoro!”. E c’è riuscito, eccome se c’è riuscito.
Si dice che uno spettacolo, per essere di successo, debba avere necessariamente tre momenti “forti”: l’inizio, la parte centrale e il finale.
E lo spettacolo del suo passaggio in questa vita è stato di sicuro un successo, con un finale perfetto.
In un mondo di volgarità, di falsi valori, di voce alta, di polemiche e maleducazione, mi sento di poter affermare che il finale del suo spettacolo è invece un raro esempio di bellezza, eleganza ed umiltà, come d’altronde lo è stata tutta la sua vita.
Ringrazio il destino che mi ha fatto camminare al suo fianco per 30 anni, sono una donna fortunata.
E spero, da oggi, anche una donna migliore, per il bene dei nostri figli.
Ora vi lascio, amici, vi abbraccio tutti e, vi prego, continuate a ricambiare quest’abbraccio, come avete fatto e anche di più, perché il mio dolore è troppo.
Laura Valente, 8 gennaio 2015