La Sicilia sud-orientale è una terra di giovani a cavallo: a cavallo fra i vent’anni e i trenta, a cavallo fra modernità e tradizione, a cavallo fra la provincia e il paesino, fra mare e collina. Allungano il collo per partecipare al futuro ma la loro vita è imbevuta di ritualità e tradizioni. Sono spesso credenti, cattolici praticanti. Assistono alla Veglia di Natale, a quella di Capodanno, fanno i catechisti, seguono le processioni, fanno la fila per visitare i presepi viventi, accendono un cero al santo patrono della città. Con maestria individuano nel territorio locale concerti, vernissage, quello che c’è di interessante nel loro raggio d’azione e d’automobile, quei fiotti di cultura che, nei paesini e nei paesoni, escono quasi loro malgrado; malgrado l’incuria, malgrado la disattenzione di istituzioni nazionali e locali, malgrado le ristrettezze economiche.
Sono patiti di fantasy, sfruttano la bellezza un po’ rude della natura circostante e delle antiche cave per imbastire giochi di ruolo dal sapore medievale alla luce di una luna gialla e arcigna. Suonano e danzano, bramosi di rivivere la mitologia nordica e le tradizioni celtiche. Hanno capacità, hanno inventiva. Coltivano le belle arti. Frequentano mostre, patrocinano mostre, preparano mostre. Scrivono romanzi e sperano. Perfezionano la loro arte fotografica per immortalare gli amici che sorseggiano cocktail agli eventi più glamour della provincia. Perfezionano le loro arti grafiche per creare delle composizioni di immagini ad effetto e citazioni pop, alla ricerca dell’ipersocialità e di un tributo da pagare quotidianamente a un ego sempre più affamato.
Provano a sfondare come Youtuber, come registi, come attori di teatro, come modelli, come blogger, come scrittori, come giornalisti, come cantanti. Portano avanti i loro progetti musicali, e con le dita incrociate sperano in recensioni positive su Rockit mentre aspettano di far uscire il proprio disco grazie a Musicraiser. Tornano a casa per le vacanze, tornano a casa nei finesettimana, sono sempre a casa ma giurano di voler partire un giorno.
Hanno lavori precari, non hanno un lavoro, hanno un lavoro stabile presso le attività già avviate dei genitori.
Vivono coi genitori, vivono in case regalategli dai genitori, vivono in case in affitto pagate dai genitori.
Talvolta accendono un mutuo e si sposano. Poi fanno un figlio. Quando le gravidanze sono inaspettate si arrangia un matrimonio, poi, già che è in ballo, la coppia sforna in sequenza altri tre o quattro bambini, perché ormai non c’è più bisogno di usare il preservativo, e d’altronde forse non lo usava neanche prima. Nessuno convive col partner, se non i cinquantenni vedovi o divorziati. Ma i giovani no, mai. Nella loro città natale mai.
Non sono ragazzi di grandi città, non sono ragazzi di città, hanno il senso dello scandalo e dello scalpore, della chiacchiera e della mala lingua, del perenne giudizio dato attraverso occhiate a raggi X dalla testa ai piedi, radiografie dell’abbigliamento e delle movenze del prossimo, classificazioni, tarature.
Negano il saluto a chi conoscono poco o a chi non conoscono più, per non incorrere nel rischio bicefalo di non essere riconosciuti e salutati a loro volta o nel rischio di doversi fermare a parlare. Fermarsi a parlare, ovvero rispondere alle domande indiscrete di chi ti chiede cosa fai e tu non fai nulla, non ti sei laureato, non stai lavorando. Fermarsi a parlare, ovvero sottoporsi al rischio di non sapere bene che dirsi.
Giovani che si avvicinano all’età adulta e sono ancora adolescenti, perché essere adulti a trent’anni oggi è difficile. Come pure è difficile entrare a far parte dei loro clan sociali. A volte l’ingresso avverrà in base a precise qualità estetiche e comportamentali. Altre volte basteranno un paio di occhiate diffidenti e dopo qualche parola, qualche sorriso, qualche altra serata insieme, ti apriranno il cuore.
Parlano in dialetto, ma non è più il dialetto dei loro nonni. Vivono nelle campagne, semi-isolati dalla città. I loro genitori vendono gli ortaggi che coltivano dietro casa, le uova delle loro galline, la ricotta che fanno col latte delle loro vacche. Chissà, forse invidiano chi vive in città, ma sanno tante cose.
Conoscono la natura e i suoi cicli, i forni a legna e i mille tramonti che annegano nei campi. Sono sensibili al bene comune. Contestano il MUOS, le trivellazioni, appoggiano le fonti di energia rinnovabili. Credono al M5S, non credono più al M5S ma lo seguono, votano SEL. Sanno chi sei in base ai locali, alle gradinate, alle piazze che frequenti, e in base a chi frequenti. Innovatori e tradizionalisti, moderni e obsoleti: questi siamo noi.
Isabella Galazzo